
Autore: Jonathan Franzen
Pubblicato da Einaudi - Marzo 2016
Pagine: 656 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Copertina Rigida
Collana: Supercoralli

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Per chi già conosce Franzen da “Libertà” e “Le correzioni”, ma anche per chi si avvicina a un suo romanzo per la prima volta: “Purity” esprime appieno il genio e l’abilità narrativa del «più grande scrittore america-no» secondo Time.

Il mio vero nome è Purity. Me ne vergogno tanto che mi tengo sempre stretto il portafogli quando esco con gli amici, perché a volte la gente te lo prende per ridere della foto sulla patente, e sulla patente c’è il mio vero nome.
Purity Tyler si fa chiamare Pip (come il protagonista di Grandi Speranze di Charles Dickens) perché ritiene che la sua vita non abbia alcuna attinenza con il suo nome di battesimo: non c’è niente di puro nell’avere ventitré anni, nessuna prospettiva per il futuro e un debito studentesco di centotrentamila dollari. Nemmeno lavorare in un call center e vivere da squatter con un coinquilino schizofrenico, uno disabile e una coppia adulta ma squinternata si avvicina alla purezza. Se aggiungiamo che la madre di Pip è una persona depressa e ipocondriaca, che ha cambiato identità e si rifiuta di rivelare alla figlia il suo nome precedente, nonché la verità sulla sua nascita e suo padre, abbiamo il quadro completo.
Ecco perché le basta un breve periodo di riflessione per decidere di accettare uno stage nel Sunlight Project, un’organizzazione che lavora in rete con lo scopo di rivelare informazioni sui responsabili di ingiustizie sociali e ambientali. Il leader è Andreas Wolff, un tedesco della Berlino est che, dopo la caduta del Muro, si è trasferito in Bolivia dove ha dato vita al suo progetto per purificare il mondo.
Pip è indubbiamente attratta dalla prospettiva di pulire il pianeta, ma spera soprattutto di trovare informazioni sul padre. La vera avventura di Purity inizia con questo viaggio, che la allontana dalla madre e la avvicina al resto del mondo, nel tentativo di ritagliarsi uno spazio e un ruolo in cui sentirsi finalmente a suo agio.
Ciò le procurava un po’ di sollievo dalla sensazione di non essere adatta a quell’impiego, di avere un impiego al quale nessuno poteva essere adatto, o di essere una persona inadatta a qualunque tipo di impiego.
Quando ho letto Libertà, l’ho concluso con la speranza che il romanzo successivo fosse meno soffocante e mi lasciasse respirare un po’ di più durante la lettura. Invece Purity mi ha tenuto sott’acqua dalla prima all’ultima pagina ed è stato un libro molto difficile da leggere e ancora di più da recensire. Il giudizio in stelline che gli ho assegnato è in realtà una media tra una valutazione piuttosto bassa, giustificata dalla lunghezza e dalla pesantezza del romanzo, e una valutazione che non può non essere alta, relativa alla bravura nella scrittura, nella costruzione della trama e nella descrizione dei personaggi.
Purity non è semplicemente un racconto di vite e di fatti, ma è un’analisi approfondita con precisione chirurgica della natura umana.
Approfondimento
Un primo difetto di Purity è la lunghezza: non che sia un aspetto negativo di per sé, lo è in questo caso perché è molto impegnativo tenere testa a Franzen e al suo bisturi affilato per lungo tempo. Sembra di trovarsi davanti ad un individuo superiore – indubbiamente lo è – e consapevole di esserlo: da un lato suscita ammirazione, dall’altro suscita anche la necessità di allontanarsene, ogni tanto, alla ricerca di un po’ di leggerezza.
Inoltre è un romanzo troppo ricco, in tutti i sensi: è ricco di luoghi, spaziando dagli USA, alla Bolivia e alla Germania, e di personaggi; non è possibile concentrarsi solo su Pip, sono tanti e tutti importanti ai fini del racconto.
Anche gli argomenti che emergono sono numerosi e tutti di spessore: la vita nella Berlino del Muro, il ruolo dell’informatica e dei social networks nella vita odierna, l’opposizione neanche troppo velata tra Sunlight Project e Wikileaks, i rapporti umani con particolare attenzione a quelli con i genitori. Franzen è abilissimo nel gestire tutta questa “carne al fuoco” senza bruciare niente, ma risulta comunque un po’ faticoso per il lettore procedere attraverso descrizioni minuziose e scrupolose analisi psicologiche. Si rischia di perdersi in questa architettura complessa e dettagliata e di non riuscire a portarsi a casa niente; di fatto Purity non coinvolge emotivamente ed è come un tessuto magistralmente lavorato a telaio che risulta perfetto nell’esecuzione ma manca di morbidezza ed è quindi poco gradevole da indossare.
L’atmosfera cupa è la stessa di Libertà, anzi forse più accentuata, a tratti angosciante. Franzen ama quasi in modo perverso analizzare le brutture dell’umanità; sicuramente non ha una visione felice dell’uomo e dell’esistenza, in quanto il primo è un essere piccolo che si affanna inutilmente e la seconda è triste e inevitabilmente delude.
Partendo da questi presupposti sembra impossibile farcela e trovare un po’ di felicità. Sembra quasi che Franzen provi una maligna soddisfazione nel dimostrare che sì, la vita fa proprio così schifo e non c’è modo di migliorarla perché è nella natura dell’uomo e delle cose andare male. È spietato e anche quando accade qualcosa di positivo, non è possibile fare un bel respiro profondo e goderne soddisfatti, bensì si percepisce sempre il dubbio di fondo che si tratti di una soddisfazione precaria, perché in realtà una felicità appagante e duratura non è raggiungibile.
Accompagnarsi a una tale angoscia troppo a lungo rischia di sfinire il lettore: vivere scollegati dalla realtà non è assolutamente accettabile, ma non lo è nemmeno affrontare ogni singolo giorno con la convinzione che tanto sia tutta fatica sprecata. Che poi a furia di ripeterlo la nostra mente ci crede davvero e non è giusto convincerla di una bugia.