Autore: George Saunders
Pubblicato da Feltrinelli - Agosto 2017
Pagine: 352 - Genere: Narrativa Contemporanea, Letteratura americana
Formato disponibile: Brossura
Collana: I narratori
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Il dolore privato e il dovere pubblico, il diritto a sfogare pienamente le proprie emozioni e l'obbligo di mantenere dritto il timone della nave che si comanda quando la tempesta infuria. Un ritratto toccante e "diverso" del presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, in quelle che forse furono le sue ore più strazianti: quelle immediatamente successive alla perdita del figlio Willie, con la Guerra Civile a incombere sullo sfondo. Una storia narrata a più voci da uno spazio a noi sconosciuto ma non per questo meno intriso di umanità e pathos.
Facendoci largo a spinte, incalzammo il bambino per saperne di più: cosa aveva provato a essere abbracciato in quel modo? Davvero il visitatore aveva promesso di tornare? Gli aveva dato la speranza che la sua condizione sostanziale sarebbe mutata? Nel caso, detta speranza poteva valere anche per noi?
È il 1862 quando William Wallace Lincoln, detto Willie, il figlio del presidente degli Stati Uniti d’America Abraham Lincoln, muore a soli dieci anni d’età per l’aggravarsi di una febbre tifoide mal diagnosticata, forse semplicemente trascurata. Il dolore della perdita è straziante per i genitori: si racconta che Willie fosse un bambino particolarmente festoso e vivace, una “simpatica canaglia” a cui venivano perdonate quasi tutte le marachelle. Il presidente Lincoln in particolare deve affrontare un disagio opprimente: vorrebbe trovare il tempo di piangere, di poter sfogare la sua disperazione, ma non può trascurare che fuori infuria la Guerra Civile, che ad appena qualche ora di marcia da Washington gli eserciti dell’Unione e dei Confederati stanno spargendo fiumi di sangue nei campi di battaglia e che una buona parte dell’opinione pubblica – dai membri del Congresso fino ai più umili popolani – attribuisce proprio a lui le responsabilità di questa tragedia così lacerante.
Intanto nel placido cimitero di Oak Hill, nel sobborgo di Georgetown, l’arrivo del piccolo Lincoln non è ovviamente passato inosservato: il motivo però non è né la fama della famiglia né (se non in parte) la drammaticità dell’evento. Fra le tombe e le lapidi si muove infatti una nutrita comunità, un gruppo composito di personaggi che accoglie il nuovo venuto e cerca di conoscerne la storia. Molti non conoscono – o per meglio dire si convincono di non conoscere – la propria condizione, quella di anime defunte non ancora segnate dal giudizio divino, sospese fra l’attaccamento alla materialità della vita che fu e la misteriosa e ineluttabile attrazione per il proprio destino in qualità di sostanza spirituale. Saranno soprattutto in tre – lo stampatore Hans Vollman, il giovane Roger Bevins III e il Reverendo Everly Thomas – a occuparsi dell’arrivo di Willie, a introdurlo in questo nuovo mondo, a rassicurarlo e a proteggerlo dalle tante insidie a cui anche in questa forma si è costretti a far fronte. In ogni caso, si dicono i tre, la permanenza dei più piccoli è in genere breve, solo una sosta verso una prospettiva più alta e migliore. Ci si accorge presto che col nuovo arrivato è diverso: il piccolo Lincoln infatti non ha nessuna intenzione di abbandonare la tomba in cui il suo corpo è stato deposto, almeno fino a quando non avrà avuto modo di rivedere suo padre, di provare a parlargli e confessargli quanto affetto e ammirazione nutrisse per lui.
Il desiderio di Willie quasi miracolosamente si compie: il Presidente, straziato dal dolore e sopraffatto dalla necessità di concedersi un intimo e personale commiato dalla propria creatura, si reca, solo e col favore della notte, nel cimitero. È un evento straordinario, che strabilia e infonde un’inattesa energia nelle anime dei defunti, ora più che mai decise a resistere, a sperare che i legami col mondo terreno si rinsaldino e non si strappino più. Abraham Lincoln però è un uomo profondamente consapevole delle sue responsabilità civili e politiche, specie in un frangente storico così drammatico per l’intera nazione americana. Pur avvertendo dunque un bisogno quasi fisiologico di non recidere il filo che lo lega all’anima del figlio, pur vivendo il naturale senso di colpa dato dal doversene separare, comprende anche che i giorni del lutto finiranno e che la sua immagine pubblica dovrà prima o poi tornare a coprire quella privata. Inizia dunque un rapido cammino verso la conclusione della vicenda, una battaglia interiore che è anche il racconto di un’interazione fra due mondi, destinati a lambirsi vicendevolmente senza mai compenetrarsi, a lasciare tracce l’uno nell’altro senza però la possibilità di invertire le reciproche sorti.
C’ è poco da girarci intorno: Lincoln nel Bardo è un libro bello, pieno, tanto commovente e profondo quanto leggibile e ironico. George Saunders – noto al grande pubblico soprattutto per i suoi saggi e le sue short stories – ha saputo trovare e dipanare, anche se all’esordio nel “lungometraggio narrativo”, il filo conduttore della componente emotiva di una vicenda storica, se si vuole marginale rispetto ai grandi avvenimenti ma non per questo poco cruciale in termini personali per i protagonisti che la vissero. La vera cifra del romanzo però sta nella sua costruzione corale, con le anime che popolano il bardo – concetto di spazio tra vita e morte che l’autore ha magistralmente traslato dal naturale alveo del buddismo tibetano alla prospettiva del cristianesimo protestante – a costruire una narrazione coesa e ricca di sentimento che parte dalle singole voci, un po’ come avveniva nella tragedia classica e, per restare a un esempio più recente e forte di un’analogia nell’ambientazione, nei ritratti dell’Antologia di Spoon River. Un libro insomma per la cui lettura occorre armarsi di una certa disposizione d’animo (e, per i più facili alle lacrime, anche di qualche fazzoletto), ma che non c’è dubbio arricchisca chiunque arrivi a girare l’ultima pagina.
Approfondimento
A fare da contrappeso alle vicende di Willie Lincoln e del suo celebre padre, filtrate dal racconto degli abitanti del cimitero di Oak Hill, ci sono stralci di testimonianze e cronache sulla vita della famiglia presidenziale, raggruppate in brevi capitoli e proposto all’interno di questi senza soluzione di continuità. Si avvicendano così apologeti e detrattori, fedelissimi e oppositori: difficile stabilire quali siano le fonti autentiche e quali le invenzioni letterarie dell’autore, ma l’obiettivo di restituire, attraverso questi passaggi, una valutazione storico-culturale sulla figura di Abraham Lincoln nella sua dimensione politica ma forse ancor più nella sua sfera privata, delineandone – anche stavolta a più mani – una nitida fisionomia, è pienamente centrato.
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