Autore: Paolo Di Orazio
Pubblicato da Nicola Pesce Editore - Giugno 2016
Pagine: 379 - Genere: Racconti, Horror
Formato disponibile: Brossura
Collana: Narrativa
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Ventitré racconti scritti con trame splatter punk horror ispirate e a omaggio di Lovecraft e Edgar Alan Poe. Possessioni demoniache, voodoo, ossessioni, complotti, demoni e vendette saranno il fulcro in cui girerà intorno ogni singola parola, pagina dopo pagina, riga dopo riga.
Nero metafisico è composto da 23 racconti divisi in tre parti rispettivamente nominate Serpenteria, Limboscopia e Metropolitanatos. Ogni parte è composta da otto racconti, tranne la terza che ne ha solamente sette, uniti da un filo conduttore che comprende l’argomento di fondo del racconto.
Passando da gruppi di Estremiti che hanno come unico scopo quello di provocare dolore alle persone per dimostrare che non sono in potere del Diavolo, a dolci bambine che possono uccidere un uomo solamente saltellando sulle caselle del gioco della campana, a una famiglia che impazzisce dopo aver tenuto il cadavere della madre seduta fuori dalla porta di casa come se fosse uno spirito protettrice, o ancora ragazze possedute che riescono a nascondere quasi fino alla fine la presenza del Diavolo, il lettore si ritrova a vagare per un mondo distopico portato all’eccesso, dove sesso, orge, uccisioni, cannibalismo sono la normalità.
La donna era in piedi, nuda, in equilibrio sulle tibie mozze opportunamente cauterizzate. Margherita sosteneva una trave, a cui era legata a braccia aperte, un rullo di chiodi che, grazie al peso del legno, si conficcavano nelle spalle, nella nuca, nelle braccia. Tutto sotto il presidio medico a terra scaricavano nel cervello e nel cuore di Margherita una tempesta di fulmini di sofferenza: amputata alle ore dieci del mattino, la donna fu issata in piedi e soggiogata alla trave. Un grosso ratto morto era appeso per i denti alle grandi labbra di Margherita, per uno stiramento delle carni intime.
Le descrizioni presenti in Nero metafisico sono molto truci e crude, fin troppo minuziose, specialmente per quanto riguarda alla parte macabra che sfida gli stomaci più resistenti dei lettori più coraggiosi.
Servì a poco. «Cinquecento chilometri», ricominciò Amanda. «Dieci ore di treno per arrivare in questo posto e scoprire che i mezzi che ho portato con me improvvisamente precari. Io detesto gli imprevisti» ringhiò la suora. E, non avendo finito, prese fiato. «Non posso lavorare come una principiante, perdiana! Qui c’è in gioco l’anima! Qui stiamo giocando con Dio e il suo principale nemico, ve ne rendete conto o pensate di stare con gli amici al bar a soppesarvi i coglioni a vicenda?»
Il linguaggio usato da Paolo di Orazio è molto spesso forte e volgare, molto terra terra, che però serve per trasmettere al lettore il completo contesto sottolineando l’ambientazione dura e distopica, molto esasperata, quasi al limite dell’immaginario.
Lo scrigno.
Pesante, semicilindrico, di ferro battuto grigio scuro, grande come un maiale, le zampe piegate all’esterno e polvere, polvere, tanta polvere su tutta la superficie, soprattutto nei solchi più profondi delle incisioni dove la luce non poteva penetrare. Sì, delicatissime e spaventose incisioni, talmente inquietanti e cupe da stravolgere l’anima per giorni, addirittura mesi se il loro fascino ipnotico prendeva il sopravvento; un giogo psichico insovvertibile.
L’intera superficie dello scrigno era un bassorilievo: rivestito di frutti tondi e dolci ai quali si avvolgevano perfidi serpenti, nel mezzo di una scena di vendemmia dominata da un crocifisso. Un demone alato e dalla folta pelliccia suonava un oboe per una fanciulla inghirlandata. La ragazza sorrideva verso chi guardava lo scrigno, offrendo un cesto di uva e fiori. Sullo sfondo, un mulo scheletrico trainava un carro di bambini piangenti. Api e uva, alberi, viti contorte. Le forme si intrecciavano nel metallo, fondendosi.
Come in tutte le descrizioni, anche quelle relative agli oggetti, specialmente quando sono molto importanti per la narrazione, vengono fatte molto minuziosamente, a tal punto che al lettore sembra quasi di toccare l’oggetto in questione e di rimanerne a sua volta ammaliato, rimanendo così legato alla lettura fino alla fine per scoprire sempre più informazioni per poter tenere l’oggetto del suo desiderio il più vicino possibile e il più a lungo possibile.
Approfondimento
I racconti contenuti in Nero metafisico sono stati scritti in un arco di 26 anni. Tra di loro c’è anche il racconto La vendemmia che è stato tradotto con il titolo Hell per la raccolta inglese Dark Gates che è stato anche inserito nella lista mondiale Best Horror of the Year 2014.