
Autore: Hilary Mantel
Pubblicato da Fazi - Agosto 2017
Pagine: 334 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
Collana: Le strade

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Frances, che di mestiere fa la cartografa, si trasferisce con il marito a Gedda, in Arabia Saudita; e da un giorno all’altro si ritrova prigioniera in un enorme condominio, abitato da persone che fatica a capire, diverse da lei, ma verso le quali riesce a provare un moto istintivo di comprensione e simpatia; e il mistero di un appartamento, all’apparenza disabita-to, ma da cui provengono strani rumori. Tutt’intorno la città con i suoi suoni e le sue voci, e poi il deserto…

Quando a Gedda verrà il terremoto – e verrà – l’onniveggente Allah si accorgerà che gli edifici sono tenuti insieme con la colla; e li sguscerà come cipolle.
Frances Shore è una cartografa e un giorno il lavoro del marito ingegnere la porta a trasferirsi a Gedda, in Arabia Saudita, nella periferica Ghazzah Street, tra terreni abbandonati e palazzi in costruzione, all’interno di un enorme condominio, il Capolinea. È un luogo di passaggio, dove nessuno si ferma per più di qualche anno, solo per fare un po’ di soldi e poi ripartire, dove la gente tiene le sue cose rinchiuse negli scatoloni. E qui Frances si scontra con un mondo lontano dal suo, che si sforza di conoscere e capire, ma dove vive come prigioniera, nell’impossibilità di una vita sociale.
Le sole persone che frequenta sono uomini d’affari occidentali con le loro mogli, al pari di loro in cerca di fortuna, e musulmani, spesso stranieri, dalla vita riservata. Le sue giornate passano tra visite ai vicini, cene eleganti e passeggiate nei suq, nella noia e lo straniamento di una vita confinata in spazi e silenzi da colmare, tra le rigide imposizioni di un regime che relega la donna a mera e fedele compagna del marito: una donna che non può lavorare, che non può passeggiare sola per le strade, che non può rivolgersi ai negozianti neppure per fare compere. E Frances, per rompere la monotonia, inizia a scrivere un diario in cui annota le sensazioni e le riflessioni delle sue giornate; e i rumori che sente provenire dal piano di sopra, che dovrebbe essere disabitato; e gli strani movimenti nell’androne del palazzo… Piano piano la sua curiosità la porta a scoprire cose che avranno conseguenze disastrose per il suo soggiorno a Gedda.
Otto mesi a Ghazzah Street di Hilary Mantel è un libro sorprendente, un viaggio asfittico in un mondo dalle molte contraddizioni, un confronto e scontro al tempo stesso tra due culture, due mondi, due realtà troppo distanti per comprendersi. E il talento della scrittrice inglese si proietta in questa rappresentazione regalandoci pagine di rara bellezza, equilibrio e armonia, restituendo tutta la tensione della vicenda e la determinazione di questa donna, che non si rassegna all’accettazione di una società che la vorrebbe chiusa in casa, preferibilmente madre, a cucinare per il marito e gli ospiti.
Una scrittura coinvolgente e avvincente che non può non tenere il lettore incollato al libro dalla prima all’ultima pagina, scaraventato in un incubo delirante e terribile, scandito dalle urla dei poliziotti e dei funzionari del regime, le apparizioni di uomini armati, i passi nell’androne e i sospiri delle donne.
Approfondimento
Otto mesi a Ghazzah Street è un romanzo potente ed estremamente attuale, nonostante sia stato scritto quasi 30 anni fa, nel 1988, e solo ora tradotto e edito dalla Fazi. I personaggi, Frances e il marito Andrew innanzitutto, ma anche le altre figure coinvolte, dai colleghi di Andrew alle coppie di musulmani residenti al Capolinea, sembrano inscritti in una spirale di una vita labile e contorta, fatta di silenzi e grida improvvise, di assuefazione e incerti sentimenti di protesta.
Piuttosto significativa la separazione tra i generi, da una parte gli uomini, attratti quasi esclusivamente dal denaro, sospesi tra grettezza d’animo e timida comprensione umana, tra moderato progressismo e rigida conservazione; assai più interessanti i personaggi femminili, che fanno da contorno alla protagonista, nelle quali si colgono le contraddizioni di una società che assegna ad esse il ruolo di compagne, amanti, schiave, regine, oggetti del desiderio che il velo, a volte imposto a volte indossato con convinzione, alimenta forse ancor più che soffocare. E spicca su tutte la figura di Yasmin, giovane pachistana che ha studiato in Europa, moglie di un funzionario della famiglia reale, fermamente convinta assertrice del ruolo subalterno della donna, ma che, forse, ha qualche segreto di troppo.
Definito dalla “Literary Review” un “incubo orwelliano sbalorditivo”, è senz’altro una delle opere più interessanti di questo autunno letterario, confermando in pieno il talento di una scrittrice dal talento indiscutibile.
Roberto Del Grosso
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