Autore: Cristina Vitagliano
Pubblicato da Cavinato - 2015
Pagine: 160 - Formato disponibile: eBook
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Il testo si compone di sette racconti fiabeschi; tema di ciascuno di essi è uno dei sette peccati capitali: invidia, ira, lussuria, superbia, avarizia, accidia e ingordigia. I protagonisti dei racconti, in un modo o nell'altro, si trovano a dover “fronteggiare” gli effetti di questi peccati, e non sempre abbiamo il lieto fine. O forse sì, se consideriamo che ognuno di questi racconti ci lascia qualcosa.
La Treccani definisce la fiaba come un “racconto fantastico, di solito in prosa e ad ampio sviluppo narrativo, in cui si possono riconoscere tracce di antiche credenze in esseri magici e di antichissime usanze; a differenza della favola, che ha quasi sempre per protagonisti animali, la fiaba ha per protagonista l’uomo, nelle cui vicende intervengono spiriti benefici o malefici, dèmoni, streghe, fate, e non ha necessariamente fine morale o didascalico ma di intrattenimento infantile”.
Cristina Vitagliano ha scelto di definire le sue storie come “racconti fiabeschi”, e direi che la definizione è calzante; non c’è un intento moraleggiante all’interno di essi. I sette peccati capitali vengono condannati ma in maniera indiretta, attraverso la semplice descrizione dei loro effetti sulla vita di ciascuno. Spazio per la redenzione non ce n’è, solo in un caso potremmo dire che il colpevole ha “imparato la lezione”, ma è troppo poco per parlare di lieto fine.
I sette racconti inseriti in Racconti fiabeschi del macabro e dell’assurdo sono molto eterogenei: abbiamo animali che si comportano come umani, regine – appunto – delle fiabe, storie straordinarie che si sviluppano in ambienti “normali”, storie che sono favole fin dall’inizio perché ambientate in qualche luogo imprecisato e magico.
Protagonisti sono donne, uomini, bambini: non sempre sono loro i “peccatori”, ma subiscono sempre gli effetti del “male” o cercano di combatterlo.
Nei titoli dei racconti non è mai esplicitato il tema: lo veniamo a scoprire durante la lettura, e solo nel caso dell’ultimo racconto, che è per altro il più lungo e uno dei più belli, mi sono chiesta se l’autrice fosse stata abbastanza precisa nel definire i confini di quel vizio, e se soprattutto fosse davvero quello il punto focale della trama. In tutti gli altri, i peccati capitali vengono descritti nelle più minute sfaccettature, e in alcuni casi ad essere investiti da quel vizio sono più personaggi, creando una catena di errori e di colpe impossibile da sciogliere.
Non c’è schematismo nella narrazione: i vizi non sono mai soli, ma sono sempre accompagnati da altri; ed è così che troviamo l’invidia accanto all’ira e all’avarizia, o altri “difetti” – o forse sarebbe meglio dire “colpe” – accostati ai peccati capitali, come la lussuria che non è tale senza gelosia, giusto per citare un esempio.
I racconti sono sempre vari, non ce n’è uno che sia simile a un altro: la fantasia dell’autrice è davvero grande, e in un caso ho apprezzato moltissimo la citazione letteraria, che mi ha fatto salire le lacrime agli occhi prima ancora di arrivare al finale.
Anche il tono della Vitagliano cambia tra un racconto e l’altro: possiamo trovare compassione, ironia, una punta di comicità e soprattutto tanta, tanta amarezza. Il macabro denunciato nel titolo c’è, ma è sempre stemperato dal favolistico e dall’assurdo.
Approfondimento
I racconti di Cristina Vitagliano sono preceduti da una prefazione meravigliosamente onesta, che ammette i limiti che un esordio potrebbe avere. Chi mi conosce sa quanto io sia una recensora pungente e ipercritica: ebbene, non ho trovato “limiti” in questi racconti. C’è sicuramente qualcosa da limare nello stile, ma l’opera è assolutamente ben riuscita e l’autrice sa perfettamente padroneggiare forma e sostanza.