Capitolo 1
<<Va bene, non suono più due volte, ma sia cortese firmi questa ricevuta di riscossione e tolgo il disturbo>>.
Il postino parlava un pizzico rassegnato, sconsolato dal fatto che le sue parole si perdevano nel sacrosanto vuoto inquinato dell’aria senza alcun effetto, mentre stava davanti alla signorina Vincenti, in vestaglia.
<<Una firma qua….a posto, arrivederci>> concluse precipitosamente lui.
Uno slam e la porta era chiusa.
Tornando dentro, lei chiese: <<Tesoro hai dormito bene? >>.
<<È stata una notte fantastica Gioia>>.
<<Si, è vero. Ma c’è di più. Di prima mattina forse non te l’ho mai detto: ti amo da impazzire>> disse lei stringendogli i fianchi e avvicinandolo a sé per un bacio.
Gioia e Marco si frequentavano da più di un anno. Appuntamenti regolari, senza impegno. Cinema, cene, pranzi al volo, qualche chilometro di jogging, o più semplicemente incontri sul divano di casa che si spostavano spesso nel letto morbido dello stesso appartamento.
Niente promesse, niente petali di poesia tra loro, niente anelli o cose simili.
Bastava l’amore.
<<Sai, ho sempre pensato di aver bisogno di te per tutta la vita, di averti tutta per me. Ed ora non faccio altro che pensarci>>.
<<Perché, pensi di non avermi? >>
<<Si, certo…>>
<<Allora cosa ti preoccupa del nostro rapporto? >>
<<Nulla>>.
<<Meglio così. Dai, ora facciamo colazione o faremo tardi a lavoro>>.
<<Gioia voglio dirti… mi vuoi sposare? >>
Fu così che il viso di lei sfoggiò i primi raggi di sole della giornata.
La giornata diventava più ricca pur senza saperlo. Un paio di occhi luminosi e chiari come quella giornata, diventavano tersi di gocce di gioia. Gioia di Gioia. Un paio di cuori traballavano, ondeggiavano sopra un mare aperto di complice gratitudine. Stavano a galla sul grande entusiasmo che faceva da trasporto, senza chiedere di non dire o parlare. Dicevamo niente promesse, eh?
Un attimo di esitazione. Non troppo lungo. Accettabile. E poi, l’abbraccio tra i due, immobile come una fotografia senza tempo. Un silenzio che valeva più di mille parole.
Capitolo 2
Difficile descrivere la vita di quei due, sempre intensa, sempre in lotta contro la difficile realtà quotidiana. Marco era un impiegato delle poste. Laureato in economia aziendale da un anno. Gioia disegnatrice per vari stilisti di moda e ricchi clienti privati. Lui, il classico uomo provinciale, tranquillo, lavoratore, abituato dall’ufficio a una vita programmata, con pochi spazi per decisioni d’ultimo minuto, spazi volentieri colmati da straordinari mal pagati a lavoro, un vero stacanovista. Lei, ragazza semplice, sempre di buon umore, iperattiva. Passava le giornate a fare disegni, proporre, ascoltare richieste. Spesso era in viaggio per tutta l’Italia. Conosceva una gran fetta della penisola a forma di stivale.
E a volte questa sua superiorità di conoscenza, tutt’altro che unicamente geografica, confrontata a quella di Marco la divertiva.
Erano due tipi diversi sulla carta, ma in realtà si trovavano splendidamente quasi in tutto, dalle decisioni più banali a quelle più impegnative. E se si finiva a litigare per qualcosa, andava a finire che avevano ragione entrambi. Tra loro c’era davvero qualcosa di speciale.
Sul treno Milano-Bologna però non pensava a questo Gioia, ma al nuovo stile di vita che gli era stato appena proposto così facilmente come quando s’invita qualcuno ad uscire. Il tutto, incorniciato da una miriade di come e quando senza risposta. Uno stile di vita che te la cambia.
Matrimonio. E tanti punti interrogativi in fila.
A 24 anni ancora non si era mai soffermata a pensare cosa volesse significare davvero quella parola. E se da qualche parte era spiegato, vocabolari o no, a lei non era mai interessato. Ma ora…
Un sospiro le uscì pensieroso, appannando il finestrino ghiacciato.
Prima o poi, si deve cambiare. Ma chi ci dice qual è il momento, il modo giusto per farlo?
La risposta alla domanda non è il cuore come si potrebbe pensare. È la coscienza a parlare per noi, perché è lì che si trova la sincerità che manca nel cuore. Lei però non sapeva. Al suo arrivo la aspettava una cliente in stazione. L’avrebbe portata nella sua gran villa, offerto un signor caffè, parlato del suo smanioso desiderio di avere una pelliccia fatta così e cosà…l’avrebbe riaccompagnata in stazione dopo tre ore, offrendole il viaggio di ritorno, salutandola con la mano cicciona, in piedi sul marciapiede.
<<Uff, anche questa è fatta>>.
Marco aveva la pausa pranzo. La chiamò.
<<Ciao amore, dove sei? >>
<<Sono di ritorno, sarò a Milano tra mezz’ora>>.
<<Com’è andata? >>
<<Come sempre, ho sopportato un po’>>.
<<Possiamo vederci stasera? A casa mia magari, preparo io, cena di pesce>>.
<<Vorrei, mi dispiace non posso, ho un altro impegno di lavoro e finirò tardi>>.
<<Non me n’avevi parlato>>.
<<Succede spesso no? Ho molto da fare in questo periodo, lo sai tesoro>>.
<<D’accordo. Stammi bene fragolina e non mangiare porcherie al Mc Donald. Quando torni, prima di andare a dormire, chiamami per la buonanotte>>.
<<Sicuro. Ti voglio bene>>.
<<Ciao>>. Click.
Capitolo 3
Sembrava una scelta difficile, quasi proibitiva. Ma ogni volta che pensava questo del vero significato di matrimonio Gioia si ricordava che uomo fosse Marco, quanto fosse fortunata ad averlo accanto nei momenti peggiori di stanchezza, stress o quando si sentiva giù di morale.
Era lui a regalarle i momenti lieti delle giornate.
Era lui a scaldarle il corpo sotto le coperte quando aveva freddo.
La sua dolcezza avrebbe potuto sostituire tutto lo zucchero del mondo.
A volte restavano minuti interi a baciarsi.
A volte lei lo carezzava pensando che fosse troppo bello ma stupendamente vero.
A volte si trovava a pensarlo quasi senza volerlo, come se una flebile vocina nel cuore gli suggerisse di farlo per stare meglio. E così puntualmente succedeva.
Lui aveva qualcosa che molti altri non possedevano, sensibilità.
«Se fosse animale sarebbe farfalla», pensava Gioia. E lei probabilmente sarebbe stata l’unico fiore su cui si Marco-farfalla si sarebbe posato, leggermente a farle compagnia.
A Marco non bastava più quella compagnia, a quel rapporto, spensierato com’era nato. Amava davvero la sua principessa e desiderava di più da lei, questo si capiva. Una promessa.
Lei lo amava e non si era mai aspettata tanto da quel rapporto. Due vedute diverse, accomunate dal gran segreto che nessuno di loro all’inizio immaginava di dover sostenere.
Quando cominci a leggere un libro, una bella storia, non sai mai come finisce in anticipo. Anche per le storie d’amore, quelle vere. Ma a questo punto la sicurezza dei propri istinti sembrava un fatto compiuto. E non solo quello.
Sul tavolo della piccola casa di Marco c’erano già 200 partecipazioni di nozze, una lista di invitati più una extra da aggiungere in caso di assenti.
C’era un anello, arricchito al centro da un diamante che non aveva ancora visto la luce degli occhi di Gioia, più splendida della sua. E forse era meglio per lui stare rinchiuso nel suo brutto cofanetto in plastica che tentare di reggere a quel prossimo confronto. Tutto fatto di una semplicità disarmante.
Avete presente un treno in tutta velocità che fa il suo tragitto che qualcun altro ha scelto per lui e deve seguire i binari senza possibilità di fermate prima di una stazione? Sembrava proprio quello che stava succedendo. Avanti a tutta velocità seguendo i binari del destino senza pause, senza tregua, senza niente di non programmato.
Ma l’amore non si programma.
Gioia e Marco passarono le ultime settimane che io ricordo, a ritagliarsi un po’ di tempo per loro. Però ultimamente parlavano di meno del solito, tranne quando si trattava di scegliere i mille pezzi del puzzle che compongono il corredo per due futuri sposi.
Ognuno senza accorgersi, si chiudeva un pezzettino alla volta più in se stesso per non accorgersi di quel treno e di quella sua spaventosa velocità.
Gli abbracci erano meno abbracci e i baci erano più incontri fuggenti tra labbra consenzienti.
Del resto queste erano solo ombre gettate su un periodo denso di preoccupazioni, niente più.
In quei giorni si svegliavano diversi, ognuno dal proprio letto.
Giorno dopo giorno stavano smettendo di sorprendersi, ma si amavano e non si sarebbero abbandonati mai.
Anche se ora, gli occhi specchiandosi tra di loro sembravano di non sapersi leggere completamente come a indicare che una parte oscura di qualcuno, un segno di diffidenza imperscrutabile, aveva contaminato le pupille.
Ah ma quante erano le distrazioni per quelle pupille!
Quanti amici a congratularsi! Una torta così bella mai vista. Le foto? Chi le avrebbe fatte? Forse ci voleva anche un filmato per ricordo. Poi, magari un bel viaggio a Malibù o chissà dove lontani dallo squallore cittadino per godersi promettenti momenti indimenticabili.
L’ambiente familiare era normale pur tuttavia concitato per l’attesa.
Gioia aveva già scelto il suo vestito bianco, scollatura a forma di cuore sul petto, stretto e semplice ma originale. Disegnato da lei stessa. E insisteva che Marco si comprasse un abito nero Armani, tutto nero. Lui per accontentarla lo comprò, ma fino al giorno prima del matrimonio non lo indossò. Peccato che non gli piaccia, il nero gli dona molto.
Capitolo 4
Mancavano quattro giorni al giorno di Marco e Gioia. Il sottilissimo filo di nubi sembrava squagliarsi davanti al sole cocente e i giorni si sfaldavano insieme a loro, sparendo senza troppi pensieri. Restava solo un non so che di velato nel cielo di Marco e Gioia.
Per loro era strano passare a tutta velocità davanti a cose per cui prima ci si prendeva il tempo di soffermarsi. Sia lui che lei cercavano di rifiutare l’idea che questo fosse strano. Nuovo, si dicevano.
Tutto diventava così, nuovo, da far sembrare loro due quasi due bimbi in fasce pronti a vivere.
Mancava un giorno e lei dovette partire di fretta per un lavoro che sarebbe durato 4 ore in tutto, ma avrebbe guadagnato il triplo del normale.
Un vestito per la moglie del Presidente del Consiglio.
Marco era indaffarato per gli interminabili preparativi quando ricevette la chiamata di Gioia.
<<Ciao sposino (così si divertivano a chiamarsi dal fatidico giorno della decisione) sono a Mantova per un lavoro. Torno presto>>.
<<Perché non mi hai detto niente neanche stavolta? Ti sembra il momento adatto per lavorare questo? Dovresti essere qui>>.
<<Scusa, hai ragione. Non ho avuto il tempo di avvisarti. Mi pagano molto bene>>.
<<L’ho fatto per noi. Solo per noi>>aggiunse.
Nel sentire quelle sue poche parole Marco perdeva il tono arrabbiato, prendendo quello normale della sua voce calma e sentiva di capire in un sol istante gli stati d’animo di lei.
Eppure le disse: <<sono preoccupato a sentirti lontana da me proprio ora…>>.
<<Amore ti capisco. Tra due ore sarò lì e staremo insieme. Anzi facciamo una cosa: esattamente tra un’ora ti chiamerò e sentirai ancora una volta la mia voce bisbigliarti che sono la donna della tua vita, ti và?>>.
Gioia pronunciava queste parole con calma e con un calore rassicurante. In fondo non aveva fatto niente di grave. Poteva capitare anche a Marco una situazione simile.
Sapeva trasmettere attraverso un comune telefono passione e trasformare una semplice chiamata in un nuovo modo per farsi adorare.
<<D’accordo sposina tra un’ora risponderò al telefono e tra due ore ti attenderò qua con un abbraccio forte per te. Ti amo da impazzire, lo sai? >>
<<Anche io. Abbi cura di te>>.
<<A dopo>>.
Click. Quarantacinque, trentacinque, venticinque, quindici, cinque minuti. Il tempo passava portando tutto via con sé, accorciando leggermente la vita di ogni uomo e di ogni donna.
Quelle di Marco e Gioia.
Cinque minuti separavano Marco da una forte verità.
Adesso erano i secondi a contare per lui. Cinquantotto, cinquantanove. Un’ora.
Un’ora che durò tutta la vita, per una telefonata che non arrivò mai.
Ora che il sospetto diventava reale e tangibile per Marco, la vita sembrava essere priva di significato all’infuori del meccanico respirare da parte dei polmoni. Non aveva mai accettato di capire quello che già sapeva.
Non aveva mai accettato di sapere quello che non capiva.
Chissà tra quali braccia era stretta lei ora, entro le quali faceva finta di amare, vicino a quale Lui dormiva, quanti lavori extra non si doveva più inventare.
Così il tempo decise di fermarsi come quel treno in corsa del loro amore, trovando per stazione il cuore in mille pezzi di Marco. Non invecchiò nulla in quei momenti. Anche i rami smisero di lasciar cadere le foglie a terra. Solo la consapevolezza di essere un uomo nuovamente libero fece muovere piano le lancette del tempo ma al contrario, facendole fermare a qualche anno prima.
Sarebbe voluto andare nella vecchia cara Via Garibaldi numero 25 e sprofondare in quel divano di coccole fatte apposta per lui davanti alla Tv.
Tanto già lo sapeva. Era vuota, non restava più niente. O forse era piena, ma del suo profumo.
Solo. Era solo lui e l’universo. O almeno così sentiva.
In realtà c’erano tanti uguali e diversi.
Abbi cura di te. Abbi cura di te. Abbi cura di te. Un triste addio somministrato in anestesia per non sentire tutto il suo affondarne la lama sul cuore.
Un addio studiato, un disegno, uno dei suoi portato a termine.
I suoi occhi non trattenevano più il peso delle lacrime. Una ad una cadevano giù sul pavimento, sui ricordi, impregnandoli di salato e amaro.
Quanto era il valore di quei ricordi. Potevano accartocciarsi o bruciare. Ma non succedeva.
Ciò che si accartocciava erano i pezzi del suo cuore, finendo diluiti in gocce di disperazione.
Scoprire di perdere tutto, perdendo il sogno più grande è devastante.
Marco stava capendo dolori come questo, a tu per tu con l’angoscia di tremare davanti a dolori come questo. Son pochi gli spasimi e trascinano la vita al confine con la morte. Allora la morte può sembrare un posto dove nascondersi. Un posto dove parcheggiarsi a luci spente e contare i battiti che non ci sono. Ma da quel posto non si può più uscire.
Marco aprì gli occhi distrutti. Spalancò la finestra. Abitava al sesto piano. Guardò il vuoto sotto di lui che lo salutava. Si sentiva più leggero.
E poi non sentì più nulla.
Poco dopo si percepì lo schianto e fu tremendo.
Molta gente accorse, curiosa per cercare di capire cosa fosse successo. Doveva essere stato un tragico incidente. Arrivò un’ambulanza schizzando tra il traffico lento. Troppo tardi. La morte aveva vinto la partita.
Una donna guardò quel corpo quasi irriconoscibile a terra e disse in piena agitazione e addolorata: << O mio Dio, io conosco quest’uomo! Abita nel mio stesso palazzo, al sesto piano>>.
Capitolo 5
Marco era cambiato. Ora era più uomo maturo. Aveva più rispetto della vita, del dolore, dopo aver visto coi propri occhi il suo vicino di pianerottolo spegnersi all’improvviso, per un incidente d’auto, proprio sotto casa.
Chiuse la finestra. Per oggi era abbastanza.
Per domani bisognava vivere col proposito di combattere e superare altre sofferenze.
C’era solo una cosa da fare.
Ricominciare.
<<Va bene, non suono più due volte, ma per favore firmi questa ricevuta di riscossione e tolgo il disturbo>>.
Il postino parlava un pizzico rassegnato, sconsolato dal fatto che le sue parole si perdevano nel sacrosanto vuoto inquinato dell’aria senza alcun effetto, mentre stava davanti al signor Marco Giovannelli, in vestaglia.
<<Una firma qua….a posto, arrivederci>> concluse precipitosamente lui.
Uno slam e la porta di Marco era chiusa. Non quella della sua vita.
Fabio Pinna
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