Martina Franca, Puglia, gennaio 1943.
L’Italia è entrata in guerra da tre anni e la vita della popolazione peggiora di giorno in giorno. Gli stenti gravano anche sull’esistenza della giovane Elisa, una diciottenne piegata dal terrore del fascismo e dei bombardamenti alleati, dalla fame. Un giorno Elisa conosce Alec, il figlio di una vicina di casa, un uomo misterioso e dallo strano accento; incute in lei un’adorazione che talvolta si tramuta in timore.
In un romanzo che ha il sapore di sole e calce, terra e pane nero, la vita rincorre e sfida gli orrori della dittatura e dei campi di concentramento, spera nelle attività antifasciste e incassa le perdite.
Il coraggio di una ragazza che diventa donna. La tenacia di un amore in bilico sull’abisso. Il ritratto di un’Italia che non c’è più. La coscienza di ciò che siamo stati nel flusso della grande Storia.
Estratto
«Dobbiamo fare qualcosa», bisbigliai a mio fratello nascondendomi ancora di più dietro al parapetto.
Il gerarca del PNF continuò a elencare i crimini commessi dagli arrestati, seppur non si trattasse di veri misfatti. C’era un ragazzo che era stato sorpreso a passeggiare con le mani in tasca in prossimità della sede del partito e uno che, in stato di ubriachezza, aveva riferito a gran voce frasi offensive nei confronti del Duce.
«E cosa vorresti fare?», domandò Antonio.
«Non lo so, accidenti!», insistetti.
«Come se fosse semplice!», esclamò.
Udimmo d’improvviso delle urla provenire dalla piazza. Guardammo in basso.
«Ebbene? Rispondete!», sbraitò il gerarca contro gli uomini delle Camicie Nere fermi davanti a lui. «Vi ho chiesto dov’è Antonio Greco!»
Impallidii.
«Ci rincresce signore, non siamo entrati nell’abitazione», si giustificò uno degli uomini in nero e io lo riconobbi: era quello che aveva legato mio padre.
«Siete degli inetti! L’intera famiglia è colpevole! Oltretutto avreste dovuto portarmi la ragazza!», urlò ancora.
«Torniamo immediatamente indietro a prelevarli, signore!», propose l’uomo.
«Aspettate! Concludiamo prima con questi», decise il capo del PNF. Quindi si rivolse nuovamente agli arrestati. «Seppur colpevoli di comportamenti abominevoli, debbo riconoscervi l’importanza della vostra presenza qui stamani e riservarvi la mia gratitudine. Molti di voi in un’atmosfera sociale più quieta sarebbero stati semplicemente condannati al confino. Tuttavia, con il crescente clima d’immotivato astio verso le forze nazionali fasciste, come gerarca della sezione di Martina Franca mi trovo costretto a dimostrare a tutti coloro che meditano sedizione, cosa li attende. Signori, state offrendo un grande sacrificio all’altare della patria. Dio ve ne renda gloria.» Levò un braccio in alto e voltò le spalle. Guardò gli uomini delle Camicie Nere. Abbassò il braccio.
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(il primo alle pagine non indispensabile ma molto gradito)