Non c’è più sole negli occhi e nel cuore di Emily. L’anoressia le ha portato via ogni sorriso e soltanto le sue chiacchierate con Matilda, una voce immaginaria nella sua testa, le permettono di non esplodere nella follia e di aggrapparsi alla vita. Ma quando Emily varca le porte della Casa dei matti, una nota clinica di neuropsichiatria, sembra davvero arrivata la fine perché nulla è come appare e qualcuno si diverte a giocare brutalmente con la sofferenza dei matti. Finché, improvvisamente, Emily viene dimessa e il mondo ricomincia a girare. Nel segno di un destino capace di legare cose apparentemente lontane tra di loro, si lascerà travolgere da nuove amicizie e da un amore intenso e passionale. Fino a quell’ultimo giorno.
Estratto
Peso, ossa, calorie, bilancia, grasso, cibo.
Pensieri maniacali che non sono facili da scacciare via, soprattutto quando sono loro a imporsi e ad asfissiare ogni squarcio di pura razionalità. Penso a me, al corpo nel quale mi ritrovo a vivere, o forse a morire, e mi tormento chiedendomi se poi questa sia stata davvero una scelta voluta. Non lo so, non so niente, non so come sia successo. So solo quando tutto è iniziato. So anche che non si sceglie di odiarsi. Tuttavia io mi odio; odio quello che sono, odio il mio aspetto, odio la mia faccia, odio la mia vita. Odio ogni cosa del mio esistere.
Sai come ti chiamano? L’Anoressica. È questo che dicono tutti di te.
“Matilda, sai che odio quella parola. Smettila di pronunciarla in continuazione. Devi smetterla!”
Si chiama Matilda e nonostante sappia che non esiste nessuna Matilda, continuo a parlare con lei come se ci fosse davvero,come se sentissi la sua vocetta bambinesca rimbombare tra i miei neuroni e non sapessi, invece, piuttosto, che è tutto frutto della mia stupida immaginazione. Eppure io la sento e non posso rinnegarla. Senza Matilda non potrei vivere, senza Matilda la follia si impadronirebbe di me e non mi lascerebbe alcuna via di scampo. Non ho bisogno di mangiare per vivere. E quando il cibo diviene una costrizione, allora la mia diventa una forma di sopravvivenza. In fondo sopravvivere è quello che ho imparato a fare in questo reparto. Si sopravvive alle mani degli infermieri che ti imboccano a forza fino a farti salire i conati di vomito, si sopravvive al senso di gonfiore che ti assale dopo, si sopravvive alle sedute degli strizzacervelli e a quelle del dietologo che, una volta ogni due giorni, ti aggiunge cibo alla dieta. Si sopravvive ai rudi comportamenti della direttrice, la bestia o Regina dei matti come la chiamo io, e persino agli altri matti che urlano e fanno cose insensate, che ti guardano con gli occhi cerchiati e si chiedono perché tu faccia tante storie per mangiare. Si sopravvive a tutto, anche quando si desidera la morte più di ogni altra cosa.
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(il primo alle pagine non indispensabile ma molto gradito)