Il mio è un pensiero a voce alta. Così alta che lo sentono solo gli altri pensieri. D’accordo?
Sposto i mobili per aver muri su cui appendermi. Casa mia. Dall’abbaino buchi nel cielo si fanno riempire da stelle. Tutto, la notte, è fermo al suo posto. Cuore e ritmico respiro. Ma si muovono per dimostrarmi che non tutto è fermo, e tutto, il giorno dopo, continuerà a muoversi e avrà un centimetro più in là o più in qua nella vita. Un posto numerato diverso. E’ freddo, una mattina fredda a Torino. Sono dietro un finestrino appannato su cui c’è un Tvb storto lasciato da chi ha scaldato prima di me un po’ il sedile. Corso Garibaldi, “La Stampa”, il caffè vicino a quell’angolo dove ho baciato per la prima volta quella ragazza che amava me senza sapere quanto. Fendo l’aria d’autunno coi miei passi e mi prendo le prime foglie dorate del giorno sulle spalle. Queste sono le piccole libertà di chi vive a Torino,Milano,Bologna,Roma,Palermo o come me ad Alcatraz, dove finito questo parlare e provare a pensare farò ritorno. Un libro forse basterebbe per scavare su questo pensiero, che mi è venuto così, su una panchina del parco del Valentino in riva al fiume, con due grosse gocce che stavano per uscire da sotto le lenti scure.
LA DIFFERENZA TRA VIVERE E FARSI VIVERE E’ COSI’ SOTTILE, COME SONO SOTTILI CUORE E RESPIRO, E USARE QUESTA DIFFERENZA PER INVENTARSI OGNI VOLTA, ANCH’ESSA E’ COSA SOTTILE. SOTTILE E FRAGILE.
Certe volte passi il passato, anche troppe volte, passi il presente anche scomodamente ma non vuoi passare il futuro. Eccomi, sono il primo. La paura, perché no.Mi salvano gli occhiali scuri e il fatto che stranamente a Torino splende il sole. Altrimenti avrei dovuto ammettere ai torinesi che il mio gioco era perdermi con gli occhi sinceramente bagnati. Prendere il primo casello e andare dritto con la mente fino alla fine del catrame e delle strisce senza il perché, il dove, il quando.
Sposto i respiri più in là su cui appendermi.Lo facciamo tutti. Cerchiamo il momento. Quel momento. Ci appendiamo.Per decidere e non avere paura di quello che sarà poi, non avere paura di dipendere da quello che diventerà. Sì, lo so, per questo e per altro rimango un discusso. Un argomento. Per gli ex amici, per le ex compagne di sentimenti, per quelli che mi sono passati di striscio e che non hanno ancora altro da fare. Così deve andare. Ma devi essere di chi ama e di chi ti odia per averti troppo amato. Così deve andare.
Dicevo, il momento. Sei lì che aspetti. La cosa più naturale e sbagliata che puoi fare. Non sei alla fermata del tram che ti si ferma sui piedi, non esistono risposte che ti vengono incontro. Nessuna soluzione renderà giustizia alla tua millenaria pazienza, perché semplicemente non basterà. Partiamo da una cosa scontata: abbiamo un mondo zeppo di roba. Quindi è per forza lì in quel mucchio che bisogna frugare per trovare “il momento”, la mamma, suo figlio e far parte della famiglia. Da che parte iniziare? Il mondo è troppo grande. Cioè signori, “Discovery Channel” su “Sky” ci fa milioni di puntate. Questo mi fa pensare al da che parte non iniziare. E allora due son le cose. Con una mano ti tieni stretto a ciò che sei sempre stato e hai imparato ad essere e non ti perdi, mentre con l’altra scopri ed impari. Scopri chi sei, cosa vuoi, quali sono le esperienze che ti avvicineranno di più al vivere, la musica, l’arte, l’ordine del pensiero, la valutazione e la comparazione durante gli eventi. Cioè, ma questo mi ha reso vivo? Se no, perché lo devo rifare? Perché lo fanno gli amici? I colleghi? Una classe sociale? Politica? Etnica? Un gruppo sociale, piuttosto che un altro, in cui voglio/devo essere accettato? Impara cosa ti manca sotto l’interrogativo. Il punto. Il punto di va bene così. E l’interrogativo può andare a farsi un giro.
Erano due le possibilità. L’altra è buttarsi a mani protese lì in quel mucchio. Essere il primo in ogni cosa che il mondo ti offre. Rovistare ogni tipo di giocattolo,bello e brutto. Farsi vivere dalle situazioni “agevolate” o tragiche. Farsi vivere dalle pause troppo lunghe. Farsi vivere dal parere che devi accettare il parere che viene comunemente accettato. Accettare di farsi vivere pensando di farlo, che paradosso. Perdersi sistematicamente dietro a quello che avevi e che cambi e che non basta. E farlo spesso, vorticosamente. Nelle cose, nei luoghi, nelle ragioni, nei sentimenti. Ad un prezzo: tu non sei più tu. Sarai un tu qualcos’altro. Un camaleonte fatto uomo dal futuro sempre ad un passo irraggiungibile.
Poi ci sono quelle pause, in cui vivi e dolcemente ti fai vivere da qualcosa di necessario. Di forte. Che impari a far parte di te. Per essere qualcosa in più, con una direzione diversa.
Vivere e farsi vivere insieme è così sottile, fragile, magico.