Eccolo lì, quel vecchio gattaccio randagio. Al mattino è già lì, ronfante, al confine del minuscolo paese, sul vecchio muro che separa le case dallo strapiombo che dà alle campagne. Chissà dove dorme. Chissà dove, e soprattutto quando, mangia. Se ne sta lì tutto il giorno, eppure è rotondo. Certo è soddisfatto, come solo un gatto libero di lungo corso sa essere.
Pare che passi il suo tempo a guardare il cielo. Non è così. Non è proprio così. Se stiamo più attenti, ci accorgiamo che osserva una piccola nuvola. A volte è un po’ più tonda e compatta, altre più lunga e stracciata, ma è proprio sempre la stessa nuvola, ogni giorno.
La nuvola, dal canto suo, sembra proprio lusingata da tutta quell’attenzione. Proprio lei, piccola e comune tra milioni di sorelle maestose, alte nel cielo, ha trovato un pubblico così attento. Ha trovato un amico.
Ci fosse Rodari, saprebbe ascoltarli, e riferirci le storie meravigliose che quei due si raccontano. Ma noi, piccoli osservatori curiosi, possiamo solo guardare e, forse, immaginare.
I giorni passano e passano e sembrano tutti uguali, nel sonnacchioso villaggio, mentre l’estate incurante completa il suo viaggio. Ogni giorno il gatto è lì, a guardare in alto. Anche la nuvola è lì, ogni giorno con qualcosa di nuovo per il suo amico affezionato. Una corsa su un vento fresco d’alta quota, una forma strana che forse il gatto indovinerà, un giocare a far piccolo il sole, coprendolo per un attimo. Arriva la sera e i due amici si salutano silenziosi e chissà dove vanno, a passare la notte.
L’estate ha finito la sua strada. Venti freddi e mandrie di sciocche nubi basse e grigie tengono lontana la nuvola dal suo amico. Quando finalmente torna, il muretto è vuoto, il gatto non c’è. E nemmeno il giorno dopo. E nemmeno quello dopo ancora. La nuvola, che durante la loro estate l’ha sempre trovato lì, si agita, prende forme strane e nervose, si mette a cercarlo per tutta la campagna. I vecchi del paesello, osservando quella nuvola che si muove infischiandosene dei venti, scuotono la testa e annunciano tempesta.
Cerca e cerca, alla fine trova il suo amico. E’ lì, nella campagna, chino tra i trifogli. Se n’è andato contento e soddisfatto, come ha sempre vissuto, l’ultimo topo degli infiniti che ha acchiappato a riempirgli la pancia. Non avrebbe desiderato nulla di meglio, ma la sua amica non lo sa, nuvole e gatti non si capiscono. E lei, la nostra nuvola d’estate bianca e soffice, soffre per aver perso il suo compagno di giochi. Si gonfia e si gonfia e diventa grigia e diventa nera.
L’aria si ferma, e lei si scioglie in pioggia. Piange e piange sul suo amico finché la terra si rivolta e copre entrambi, portando con sé una piccola ghianda matura.
Passa l’autunno e passa l’inverno. A primavera il paese è ancora lì e sembra sempre uguale a se stesso.
Se però guardiamo bene, affacciandoci da quel muro che separa il villaggio dalle campagne, vediamo una giovane quercia che cresce in fretta. Una quercia che è un po’ la nostra nuvola e un po’ il nostro libero gattone. Crescerà e crescerà e rimarrà lì per tanto tempo. Tanto tempo, come è dato solo ai frutti degli incontri più insoliti e più belli.
Giorgio Arcari