Immagino le rughe, i solchi arati dalla stanchezza. Le notti sveglie. Le mani che fanno un fruscio strano, non sono più così morbide come una volta, ma scivolano. Pesanti, scivolano. Quando si pensa alla velocità del tempo, quando davvero si prendono le sue misure, è sempre troppo tardi. Ha già fatto il giro che doveva. La schiena scricchiola quando mi volto, troppa luce mi dà fastidio. Le forze a volte cedono inaspettatamente davanti a un nonnulla. Mi sono già raccontato una fetta grande di vita, nella restante ci sarà silenzio. E poi tu. Affianco al giornale, alla tv, alle mie carte sparse per la scrivania, alla mia solita polvere sui libri ci sei ancora tu. Mancano ancora quarantadue anni.
Ma ti vedo.
Ti muovi e ridi come una volta, non hai perso lo smalto dei denti. Costringi la vita a sorriderti. In tutto questo tempo abbiamo imparato a prenderci il cuore con cura, senza scossoni. Si ride e si piange, si cambia, si perdona e ci si lamenta. Ci sono i rimorsi, c’è la malinconia. Ci sono abitudini che son messe lì da una vita e non le sposta nessuno. Mi piace pensare che quello che siamo stati non lo dovremo a noi, ma a qualcuno di più grande. Niente è perduto, qualcosa è solo dimenticato. Semplicemente non siamo vite che si scollano ma lembi che combaciano.
Ti vedo.
Mi porti in giro per il mondo, perché il mio mondo è la tua bell’anima. Fermi miei pensieri su un foglio qualsiasi. Incarni la mia poesia. E c’è sempre il coraggio. Il coraggio di dare risposte che possono essere inesatte, prendere strade sbagliate e dover tornare indietro, il coraggio di starsi accanto nel farsi male e amarsi, quello del prendere sulle spalle pesi per sempre ingiusti. Mancano ancora quarantadue anni. E ora che sei qui non vedo altro. Non vedo altro che te.