La signora Pellisier è stata la prima a dirmi che l’ingegner Russo gira con quella pelle bianca e le bende sul volto perché sta andando in stato di decomposizione. Anche il dottor Belisanti (che non è un medico, ma un dottore in Biologia) me l’ha confermato. Anche la Scagliotti, la Gulmini, la Novarese, il Ramaglia e il professor Goglio. Certo, fino a quando non è stato il dottor Belisanti a confermarlo io non ho dato troppo credito alle parole della Pellisier, della Scagliotti, della Gulmini, della Novarese e del Ramaglia, e nemmeno a quelle del professor Goglio, sempre perso nel suo mondo di filosofi e latini. Il fatto che queste persone fossero al corrente della faccenda dimostra che, anche se la cosa è successa dall’oggi al domani, evidentemente la voce circa le condizioni dell’ingegner Russo deve essersi sparsa in fretta, cosa d’altronde che non deve sorprendere in una cittadina di venticinquemila abitanti come Tortona. Il medico curante dell’ingegner Russo è il dottor Mesturini, e quello ha una lingua particolarmente lunga e alle volte pure biforcuta.
Deve aver fatto una confidenza al dottor Pasino, che anche lui è mio cliente qui in drogheria, e so che lui e Mesturini sono amici, frequentano due o tre circoli assie- me, golf, scacchi, il circolo di lettura, e il dottor Pasino deve averlo detto a qualcuno e questo qualcuno a qualcun altro, ed ecco fatto che poche ore dopo la Via Emilia intera, dove l’ingegner Russo vive da quarant’anni e io da venti ho la mia drogheria, tra l’altro proprio a due passi da Palazzo Frascaroli dove il Russo vive, già lo sapeva. Quando l’ho saputo dalla Pellissier la prima volta, pensavo avesse avuto solo voglia di scherzare. La Pellissier viene da Dolonne, un paesino contiguo a Courmayeur in Val d’Aosta, si è trasferita in un appartamento di Palazzo Fantini da un cinque o sei anni, ma torna spesso a Dolonne, anzi è più là che qua, e ha una grande attitudine alla chiacchiera, cosa che a me di solito non dispiace del tutto. Anche a me piace la chiacchiera ma stavolta va detto che con l’ingegner Russo non si tratta delle solite quattro chiacchiere: qui la Pellissier sostiene che l’ingegner Russo gira con quella pelle bianca e le bende sul volto perché la carne gli va putrefacendosi.
Secondo Belisanti, Mesturini non ha saputo bene cosa dirgli e lo ha indirizzato verso una qualche clinica, e adesso che sono passate ventiquattro ore l’ingegner Russo gira con la pelle bianca e le bende, indossa un cappello, porta dei guanti di pelle, dei pantaloni lunghi e un soprabito, e la cosa forse passerebbe dopotutto anche inosservata (Russo sembra combi- nato come se sia cascato dalle scale o le abbia prese di santa ragione in una rissa ma non certo come se stesse andando in stato di decomposizione) se però non fosse piena estate e facesse un caldo da spaccare le mattonelle che pavimentano la Via Emilia. La Gulmini è passata di qui per prendersi il suo pacco di biscotti e lo zucchero. Quando le ho chiesto se sapeva anche lei dell’ingegner Russo, mi ha messo lì che a quanto pare ieri Mesturini andava vaneggiando, al bar per tutta la serata, di avere un paziente in stato di decomposizione, che lui una cosa simile in vita sua non l’ha mai vista e spera che alla clinica specialistica sappiano dire al Russo cosa diavolo ha, sempre che Russo regga fino a domani dato che per domani è stata fissata la visita alla clinica.
Insomma Mesturini parla come se Russo fosse già un morto su due piedi, o almeno così ha riferito a lei il Ferraron che lavora al bar e che ha ascoltato tutta la sera quelli che gli sono sembrati soprattutto vaneggiamenti, che venivano direttamente dalla bottiglia di Monica di Cagliari che Mesturini si è scolato appunto mentre vaneggiava. Ferraron ha spiegato alla Gulmini che Mesturini al bar ci va una volta ogni morto di Papa e che proprio come la Gulmini non ci va certo per scolarsi bottiglie di Monica di Cagliari ma per prendersi un caffetuccio o farsi al massimo un Campari, sgranocchiare qualche nocciolina. Più tardi, la Scagliotti mi ha confermato la versione della Gulmini (lei lo ha appreso all’erboristeria di Via Fracchia dal signor Pezzatoni – non si serve da me, io in tanti anni non ho mai sentito e forse non ho nemmeno mai trascritto giusto il cognome) e ha aggiunto che a ben guardare Russo è sempre sembrato un po’ un morto in piedi. Quando l’ho visto per la prima volta, conciato come è conciato, è stato ieri a un quarto a mezzogiorno. È venuto giù a prendere una confezione di bottiglie d’acqua, due cartoni di latte, qualche cioccolatino e qualche caramella. Era vestito come ho già detto: un lungo soprabito, lunghi pantaloni di flanella, teneva un copricapo sulla testa e aveva bendaggi e garze sul volto.
Puzzava di marcio. Un nugolo di mosche lo circondava. Come ho detto era estate e, per quanti accorgimenti il Russo abbia preso, la puzza di carne in putrefazione non può essere del tutto coperta né si può evitare che le mosche lo seguano dappertutto. Io non ho commentato nulla quando l’ho visto conciato così. Mi sono solo limitata a servirlo in silenzio. Probabilmente devo aver deglutito a vuoto anche un paio di volte mentre mettevo la merce nei sacchetti e battevo lo scontrino alla cassa. Il pover’uomo ha preso i sacchetti e ha ringraziato e, aprendo la bocca per dirmi “grazie” un dente gli si è staccato dalla gengiva ed è cascato nel sacchetto con la roba dentro. Credo che l’ingegner Russo nemmeno se ne sia accorto e io sono stata zitta ero completamente terrorizzata nel fargli notare che aveva perso un dente. Quando Russo è uscito dal negozio, mi sono portata le mani alla testa, mi sono seduta su uno sgabello che tengo lì dietro al bancone e mi sono detta: «Oh, poveri noi…» Poi è arrivata la Pellisier, e poi la Scagliotti, e via con le chiacchiere attorno alle condizioni del Russo che ho già approssimativa- mente riportato, giusto per dare un’idea. In cinquantasette anni di vita non ho mai visto una cosa simile. Pover’uomo. Pover’uomo. Pensare che due giorni fa s’è presentato come sempre. Sarà stato mezzogiorno, mezzogiorno e un quarto o anche un quarto a mezzogiorno di solito il Russo si presenta in negozio intorno a quell’ora – ha preso solo un pacco di zucchero.
Teneva in braccio un sacco di grissini che doveva aver preso dal panettiere in Corso Montebello, perché anch’io ogni tanto li prendo lì e so che aspetto hanno sono sottili, lunghi e leggermente bruciacchiati alle estremità. Era vestito in braghette corte. Aveva una 20 maglietta bianca. Un paio di occhiali da sole. Era pimpan- te. Capelli all’umberta a scoprire la fronte spaziosa e il volto abbronzato. L’ingegner Russo ha quarant’anni ed è un tipo attraente e proprio perché è attraente gli si perdona tutto quanto, come per esempio il fatto che vive a casa dei genitori e che circa cinque anni fa ha perso il lavoro senza ritrovarlo. Aveva una fidanzata: usciva con la figlia dell’avvocato Marchisio che adesso s’è messa con il notaio Melgara e spende la maggior parte del suo tempo nella villa che hanno a Bozzole. Anche se a volte rientra a Tortona, passa di qui e compra sempre due chili di cioccolatini, per lei ho capito che dev’essere una specie di rituale. La figlia dell’avvocato Marchisio e l’ingegner Russo hanno filato assieme per una decina d’anni. Lui s’è preso la laurea tardi, a ventinove anni, e non perché non studiasse, ma perché forse aveva sbagliato facoltà. La signora Russo alle volte mi raccontava che suo figlio sentiva di non avere abbastanza motivazioni, forse perché sapeva che non ci sarebbe stato un futuro per lui, o che ci sarebbe stato un futuro che non gli garantiva le prospettive che lui voleva, anche se la signora Russo più chiara di così non è mai riuscita a essere.
Comunque a parte questo l’ingegner Russo almeno non ha mai fatto del male a nessuno e non ha mai fatto niente di male a parte (se si considera questo come fare qualcosa di male) vivere con i genitori nel loro appartamento della Via Emilia. Loro hanno un solaio e lo hanno trasformato in mansarda per permettere al figlio di stare più in solitudine: l’appartamento infatti non è immenso, sono centoquaranta metri di casa, crescendo il figlio gli spazi si sono per così dire ridotti. Poi finalmente dopo la laurea e l’esame per diventare ingegnere, l’ingegner Russo ha trovato un qualche impiego in quel, se non ricordo male, di Bollate Baranzate nell’hinterland milanese, ma anche lì era scontento, perché innanzitutto non gli piaceva il posto – lo avevano messo alla qualità ed era stato quasi come un degradarlo – e poi ovviamente lavorava con contratti a progetto e perciò non poteva ancora nemmeno parlare di metter su famiglia con la figlia dell’avvocato Marchisio, sempre che lo volessero entrambi, perché anche lì non si capiva bene cosa il Russo volesse o non volesse e cosa volesse la figlia dell’avvocato Marchisio.
Quando si sono lasciati ci si aspettava che il Russo ci stesse male, tanto più che è successo proprio quando lui ha perso il posto alla ditta di Bollate Baranzate, ma a quanto pare, se è stato male non lo ha dato a vedere, ha conservato intatta la sua aria seducente, col naso aquilino, gli zigomi sporgenti, la fronte spaziosa, le spalle ossute. S’è messo a inviare curricula attraverso internet e si è iscritto ai Menawork (l’ho visto io un paio di volte che entrava in quello di Corso Montebello). Dava ripetizioni agli studenti del liceo, ma niente, per cinque anni più niente, anche perché secondo la Novarese – ma ho sentito dire la stessa cosa anche al Ramaglia – il Russo si rifiuta categoricamente di fare qualsiasi lavoro che non abbia a che fare col suo ramo, specie dopo quello che è successo a Bollate Baranzate dove si è improvvisato a ricoprire una mansione che non era il suo ramo. Così i risultati si sono visti. La Scagliotti mi dice che Russo deve aver combinato qualcosa alla ditta dove lavorava prima che non gli rinnovassero il contratto e anche il professor Goglio mi ha messo lì un “ma lì secondo me deve aver combinato qualc’afari”. A me sono sembrate tutte solo impressioni e basta e per me non valgono niente.
L’idea poi che Russo abbia combinato qualche disastro a lavoro e che questo gli abbia tolto la possibilità di trovare un altro posto, in tutta Italia e per cinque anni di seguito, non sta proprio in piedi: cosa deve aver mai combinato? Ha fatto esplodere una bomba? Lì è che non trova lavoro per sfortuna, e perché non ha le conoscenze, e anche perché, come dice la Novarese, il Russo non vuole trovarsi un lavoro diverso da quello per cui ha studiato. Magari è perché non lavora, mi ha detto la Gulmini, che gli è venuta questa malattia che non si sa cosa sia, oppure secondo la Pellisier è a causa della figlia dell’avvocato Marchisio, oppure secondo il professor Goglio perché suvvia dopotutto Russo non ha una vita e non l’ha mai avuta davvero, è per davvero, come dice la Scagliotti, un po’ un morto in piedi. Magari ha ragione il dottor Belisanti quando dice che sono stati i genitori a mettergli una volta il veleno nella minestra. Secondo Mesturini la faccenda della malattia è capitata dall’oggi al domani. La scorsa mattina Russo s’è svegliato e s’è trovato che andava in pezzi. Magari è una forma di lebbra, ma se è così come ha fatto a prendersela? Russo non è nemmeno uno che fa viaggi, che va in Africa, nel Centro America, Calcutta, no, per dire. È uno che se ne sta sempre rincantucciato nel suo solaio a spedire curricula e a far ginnastica.
Si fa vedere poco in giro da quando ha perso lavoro e fidanzata, ma come ho detto non si è lasciato andare. Fa la spesa. Va all’Esselunga. L’ho visto al Gulliver dal Bar Galleria. Nessuno l’hai mai visto in luoghi sospetti come per dire alla Cometa di Sale o alla Foresta o in qualche discoteca di Salice Terme. Pochi amici, anche. Probabilmente poco sesso anche. Questo tra l’altro non fa che esasperare un po’ tutti quanti, perché se il Russo fosse un scapa d’in ca’, se fosse sempre stato uno scapestrato, uno scavezzacollo, allora si potrebbe a ragione dargli addosso e criticarlo, ma invece già è attraente, alto, bello, allegro, in più è sempre stato assennato. La verità è che ha poca fortuna e che ultimamente in Italia è difficile. Altrimenti non si spiegherebbe. Certo che a quarant’anni… Secondo me ha ragione il dottor Belisanti: lì sono stati i genitori. La Gulmini e la Novarese m’hanno detto che il Russo deve avere da parte dei risparmi che ha messo via in conseguenza della vita sociale quasi nulla che ha avuto, almeno fino a che non ha incontrato la figlia dell’avvocato Marchisio, che poi è una ragazza seria anche lei e di sicuro non lo ha certo mandato in rovina mettendosi a fare la capricciosa e pretendendo chissà che.
Ciononostante sono i genitori che lo mantengono economicamente e quarant’anni di mantenimento non sono per niente pochi e a pensarci, alla vita che quell’uomo conduce (sempre con quella sua aria un po’ da ragazzino), a me viene quasi da sentirmi morire per lui. Io mi sentirei una specie di morto in piedi per davvero e anzi provo così pena per lui, ora che ho scritto queste parole, che adesso passo subito alla conclusione di questa storia che, come dice la Novarese, “ l’è proprio trista”. Insomma oggi l’ingegner Russo è entrato in negozio a mezzogiorno circa. A parte che non capisco come potesse essere che il Russo stesse così male, andasse a pezzi ed eppure seguitasse con la sua routine di andare a fare la spesa. Avrebbe potuto starsene in casa almeno ad aspettare l’appuntamento con la clinica specialistica che probabilmente, come mi pare il Belisanti mi abbia detto, era fissata appunto sul tardo pomeriggio di oggi. Possibile che la signora Russo o il dottor Russo non abbiano detto qualcosa al figlio e lo abbiano lasciato andare bardato per la Via Emilia in quel modo, portandosi dietro quella puzza orribile di carne marcia inseguito da un nugolo di mosche? Ad ogni modo Russo è arrivato a mezzogiorno in negozio.
Le bende gli avvolgevano intere la faccia lasciandogli scoperto solo naso occhi e bocca. Gli sa- ranno rimasti due o tre denti. Della lingua è meglio non dire cosa ho visto o cosa credo d’aver visto. Il labbro inferiore era spaccato e purulento. Con lui è entrata una nuvola di mosche e insetti. In negozio c’erano tre persone – la Novarese, il dottor Quaroglio e un’altra persona che non conosco – e sono scappati fuori. Fuori dalla porta del negozio peraltro c’erano altre persone che lo stavano seguendo. Erano costernate. Le vedevo sostare fuori dalla porta con gli occhi grandi e le bocche spalancate. Era un piccolo corteo, saranno state una decina di persone. Erano tutte in silenzio. Russo ha mosso la bocca tra i bendaggi bianchi e mi ha detto che voleva una confezione d’acqua. Io gli ho chiesto se ne voleva una intera. Lui mi ha risposto di sì, con un tono leggermente spazientito, come a lasciar sottintendere perché gli stessi facendo una domanda del genere. Io mi sono ritirata nel retro del negozio e ho preso una confezione d’acqua, sono rientrata e l’ho posata sul bancone. Russo ha pagato. Poi ha preso l’acqua e, caracollando con le mosche attorno alla testa bendata e il cappello di feltro, è uscito dal negozio. Le persone fuori si sono scostate.
Io ho mandato qualche colpo di tosse per la puzza di cadavere che quell’uomo si lasciava dietro. Poi sono uscita anch’io per seguirlo con gli altri, tanto che dal negozio se ne andavano puzza e mosche. Contavo di non allontanarmi troppo per tenere d’occhio il negozio, se per caso qualcuno si fosse infilato per rubare qualcosa, e poi in quel momento mi interessava da qui fino a lì che mi derubassero della merce in negozio. Nel gruppo di persone c’erano il dottor Bellisanti con la gazzetta sotto braccio, c’era la Novarese, c’era il Beccuti, la Druetto, c’era Rodolfo Quarello che prende sempre le Lindt fondenti, e una volta che nel sacchetto mia figlia gli ha messo (non so come ha fatto perché in negozio c’è un’ampolla per le Lindt al latte e una per quelle al cioccolato fondente) le Lindt al latte, lui è tornato, le ha restituite e ha preteso quelle fondenti, proprio lo stesso numero, e lì Quarello m’è scaduto un po’, non lo facevo così, lo pensavo migliore. Ci sarà stato nel gruppo anche qualcun altro che conosco ma questi ricordo, e mi ricordo che nel gruppo ci stava pure la vigilessa che un paio di volte m’ha fatto delle multe belle alte per aver lasciato l’auto in parcheggio vietato senza il permesso ben visibile roba da matti. Ad ogni modo, io e questi che ho detto e gli altri, abbiamo seguito il Russo che caracollava sotto i portici della Via Emilia, reggendo la confezione d’acqua nel suo soprabito nero e con il cappello di feltro con la tesa larga. Si muoveva proprio come un morto in piedi e sbandava leggermente a destra e a sinistra, procedendo molto lentamente, tanto che in pratica noialtri stavamo lì pronti a sorreggerlo non appena fosse crollato a terra.
Ma non è successo questo: è successo invece che dopo una decina di metri abbiamo notato un rigonfiamento all’altezza della spalla destra del soprabito e la scapola destra, col braccio che reggeva la confezione d’acqua, si è in pratica staccata dal tronco del corpo. L’ingegner Russo ha sbandato paurosamente ed è finito sul pavimento dei portici a faccia in giù nonostante, mi pare, il Beccuti, essendo il più vicino, abbia provato a lanciarsi per impedire al Russo di crollare. In quell’istante il portone di Palazzo Frascaroli, dove abita il Russo con la sua famiglia da quarant’anni, s’è aperto e ne sono usciti fuori correndo il signore e la signora Russo gridando, piangendo, dicendogli che cosa gli fosse venuto in mente, al loro Giovanni, di andare a sollevare pesi come quelli nelle sue condizioni, di uscire, di andare a far la spesa. È stata una scena straziante, adesso c’era tutta la Via Emilia riunita attorno al corpo dell’ingegner Russo, che in pratica, come abbiamo poi appreso oggi, io e il Ramaglia e la Scagliotti, dal dottor Goglio e poi dal Belisanti, a quanto pare s’è squarciato in due metà ed è morto lì sul colpo col soprabito e la camicia zuppi di sangue. Questo per ora è più o meno tutto quello che sappiamo a proposito di ‘sto po- ver’uomo del Russo che, come abbiamo concluso più tardi anche con la Gulmini e di nuovo la Novarese, non riusciva a starsene in casa, doveva per forza venire in negozio a parlar con noialtri, ha preso ad andare in stato di decomposizione anche se ancora perfettamente vivo.
Marco Candida
“Stato di decomposizione” è apparso la prima volta su Sagarana.