Siamo tutti, abbiamo tutti, vogliamo tutti un po’ più o un po’ meno. Una scala in salita e in discesa. Le facce di una medaglia non sudata che ci hanno fatto vincere alla nascita. Il bianco e il nero, lo zero positivo e lo zero negativo, il bello e il brutto, l’alto e il basso, il ricco e il povero, con zucchero o senza, il sempre e il mai. Sempre questione di prospettive, a quanto pare anche in casi estremi. Forse a questo serve l’estremismo: a confondere le idee. Siamo tutti uguali e diversi in mille pezzettini a credere di no, a pensare di aver ragione, a pensare poco meno di troppo. E non si nasce contenti, e lo si diventa una volta in tutto nella vita forse, ma senza saperlo. E si vuole altro. Di più. Si azzarda. Non si ammette perché non serve, non si accettano consigli perché complicano nella scelta, non si ascoltano le paure perché ufficiosamente non ci sono. Si lavora ancora più duro per un pugno di soldi in tasca in più. Si è disposti a tutto pur di arrivare al centro dell’attenzione. Per essere un viso conosciuto. Per sembrare e arrivare dove non avremmo mai potuto essere. O si vuole di meno. Si vogliono i rimpianti, la nostalgia, la sfiducia negli altri, si vuole stare male per essere notati. Presi in cura. O al contrario si vuole passare inosservati e sparire dalle attenzioni di un’intera categoria di persone: donne o uomini. Si vorrebbe perdere tutto perché tutto ciò che si ha è come forte come cartone paragonato alle forze in gioco, così come noi. O forse quel che resta è così insensibile sordo e intransigente. Così indegno e così incurante della fine che potresti fare da essere irreale. Versarlo come con le auto e prendere qualcosa di nuovo.
Allora, zucchero o light?
Sei un po’ più bacio e viene da pensare che mai finirà. Appiccica lievemente. Resteresti aggrappato per ore a quel manifesto appeso fuori che è anche un sentire manifesto appeso dentro. Tante cose toccheranno la tua anima d’ora in poi. Atterraggi morbidi. Un po’ bacio, un po’ meno, di quei che conservi freddi, spariti dalle cornici, quelli che rinfreschi con malinconia, archivi con diligenza, vomiti indietro.
Un po’ più tetto, le fatiche di una vita per il cemento da dare a una famiglia che hai visto in tutto neanche il terzo delle ore della tua esistenza. L’unica cosa che puoi ancora dare ai tuoi figli che vogliono scappare via lontano ma non ci riescono. L’unica cosa che ti protegge dal resto quando tutti non possono essere che resto nei loro metri quadrati di pensieri. Un po’ tetto, un po’ meno, l’unica cosa a tenere incollato il concetto di famiglia. Forse troppo stretto come le minigonne delle puttane. A tenere al vento, nelle baraccopoli in periferia dei romeni che nessuno vuole.
Abbiamo un po’ più pallottole per tornare come eroe da una fidanzata, conta in fondo essere nati nel paese giusto, nel paese del giusto. Un po’ più pallottole di quelle che si possono sopportare invece e sei uno di meno, non avrai cambiato nulla, avrai dato loro la scusa per mettere in macchina altri caricatori. La colpa è sempre tua. Fai preoccupare comunque le fidanzate sia che vivi o che muori.
Un po’ più riempire le tasche degli altri di caramelle, le persone di attenzioni, sorrisi. Riempire i cari con giorni scritti in nero e non di rosso sui calendari. Riempire gli occhi di cose nuove e darle a lei, a lui. A quei cinquanta centimetri rosa che sanno sempre di latte. Un po’ più riempire, un po’ meno, si tenta, la vita di guai, le vene di eccitazione paranoica mortale in pastiglie o polverina, i bicchieri di disperazione cronica da alcool, le guance di schiaffi immeritati. Il mondo di smog e di particelle radioattive.
Vogliamo un po’ più di sogno che è un incubo di meno, che è un motivo con i mezzi ancora da trovare. Che sono cose che non devi più rendere a nessuno ma puoi tenere dentro, che è un po’ di forza messa da parte al sicuro per qualcosa, qualcuno. Un po’ più di sogno che se è sulla strada giusta non si fa prendere sul serio. Un po’ più sogno, un po’ meno, per chi beve ancora acqua sporca dai fiumi, per chi vive fino ai quarant’anni, per chi entra in ospedale e non uscirà più in verticale. Un po’ meno, per chi si è sentito solo una vita a lottare per qualcosa senza raggiungerlo, senza scalfirlo, graffiarlo. O per chi si è sentito solo a lottare per se stesso.
Un po’ più di perdono per sentirsi bene in fondo alla vita, per fare la faccia buona quando ci s’incontra. Un po’ perdono perché se no non vivi, perché i compromessi non è vero che non si fanno. Un po’ più perdono per lavarti via quella macchia e un po’ meno, perché ci sono errori che pesano di più. Perché la meritocrazia è al di sopra del resto e alcuni semplicemente non meriteranno mai.
Un po’ più seno in cui finire dopo una settimana di abbracci veloci e sguardi appena incrociati. Un po’ di seno fatto di tenerezza sperato. O dovuto, comprato. Per tentare di dimenticarsi del dolore, dell’errore. Di tutto quello che non funziona che ci è stato dato, di tutto quello che ci manca e non torna più. Un po’ più seno, un po’ di meno, perché non ti servono protesi per la felicità vera. Perché non sai da dove cominciare, perché hai troppa paura per scoprire di saperti attaccare così forte poi.
Siamo un po’ più falsificazione perché oggi è pericoloso mostrare come si è perché non lo fa nessuno. Perché non conviene, perché la verità non paga e non fa storia, show, non fa stare bene. Un po’ più falsificazione per non dover dovere, per non pagare o farlo in ritardo, per far pendere la bilancia sul proprio piatto. Per essere liberi da un sistema che si odia e passare un confine in cerca di salvezza andando a trovare felicità di plastica riciclata, o sconfinare perché non si ha più nessuno.
Anche un po’ di falsificazione sì, ma una goccia, solo fino a capire di volersi bene davvero.