Autore: Eva Weaver
Pubblicato da Mondadori - 2013
Pagine: 274 - Genere: Drammatico
Formato disponibile: Copertina Rigida
Collana: Scrittori Italiani E Stranieri
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Nel Ghetto di Varsavia il piccolo Mika ha solo il suo cappotto, eredità del nonno, pieno di tasche dove far sparire addirittura un intero teatro di burattini di cartapesta, nella speranza di dare un po' di felicità in mezzo a tanto orrore.
Il ghetto di Varsavia fu istituito dal regime nazista nel 1940 nella città vecchia di Varsavia. Fu il più grande ghetto europeo.
E’ qui che il romanzo “Il piccolo burattinaio di Varsavia”, dell’autrice Eva Weaver, è in larga parte ambientato. In esso la storia viene minuziosamente descritta nei suoi particolari più terribili, tuttavia la scrittrice riesce magistralmente a far risaltare la dignità di uomo di ogni oppresso di quel tempo. Mi piace pensare che abbia cercato, con la penna, di restituire in parte a quella povera gente ciò che l’odio umano ha tentato di estirpare.
Il libro è diviso in due parti, esclusi prologo ed epilogo, perché l’autrice ha voluto guardare le cose da due diversi punti di vista: nella prima, attraverso gli occhi del piccolo quindicenne ebreo Mika Hernsteyn. Nella seconda, attraverso quelli del soldato tedesco divorato dal rimorso Max Meierhauser. I due personaggi sono legati da un destino: quel destino si chiama speranza, si chiama salvezza. Come spesso accade nel linguaggio di Dio, in qualunque modo noi Lo percepiamo, il bene e la salvezza arrivano in punta di piedi cercando strumenti innocui ed insospettabili.
E con quello strumento insospettabile, i tedeschi ridono. Perché Mika possiede dei burattini. Mika serve, perché organizza spettacoli che farebbero ridere i bambini, mentre invece fanno ridere i tedeschi portatori di morte. I burattini sono tanti, e belli, e ben vestiti; quando non vengono organizzati spettacoli dal giovane ragazzino, sono nascosti nelle tasche dell’enorme cappotto che indossa sempre. Sono nascosti come chi ha paura . Tuttavia, i burattini non sembrano averne. Fra di loro, spicca il Principe, il preferito, quello che, in tutte le storie, salva sempre qualcuno.
Ed è così: Mika viene fatto fuggire da uno dei soldati tedeschi che hanno sempre assistito e riso di fronte ai suoi spettacoli di burattini. Il soldato si chiama Max Meierhauser, per l’appunto. Ma non lo fa solo per simpatia. Una fiammella di umanità si è accesa nel suo cuore, diventa ancora più viva e ardente quando Mika gli regala l’amato Principe in segno di ringraziamento, continua a bruciare quando, dopo essere stato catturato dai Russi ed essere fuggito, tramanda la storia commovente del piccolo burattinaio di Varsavia al figlio e alla nipote. Il pentimento nel cuore di Max tiene vivo il sentimento per il Principe, superstite come lui di dolorosi ricordi e di inaspettata salvezza. Quel Principe deve tornare ad un ormai anzianissimo Mika, non più come burattino, ma come simbolo della sua dignità rimasta intatta.
Sì.
Perché.
Attraverso la manipolazione psicologica o attraverso la violenza fisica, si perde la propria libertà di scegliere. Questo può renderci come burattini nelle mani di qualcuno o di qualcosa di più grande.. Ma la dignità non può togliercela nessuno finché sappiamo, qualunque cosa accada, di essere uomini. Abbiamo vestiti diversi, ma corpi identici, ed un principe fatto di salvezza e speranza che parla al nostro cuore.
Chiunque noi siamo.
Marika Lopa