
Autore: Sergio Rizzo
Pubblicato da Feltrinelli - Settembre 2018
Pagine: 122 - Genere: Attualità / Reportage
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Serie Bianca

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2 Febbraio duemila e venti. Il governo di coalizione è al potere da un anno e mezzo. Nella sua sempre più intensa natura sovranista manca una sola grande e decisa azione: la rottura definitiva con l'Europa e l'uscita dalla moneta unica. Attraverso una fantomatica operazione Morris e il simulacro distopico della narrativa di genere, Sergio Rizzo, vicedirettore di Repubblica, ci dice cosa succederebbe al mondo se andasse tutto davvero molto male.

Mi sono approcciato a 02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro con molta curiosità, devo essere sincero.
Perché la mia prima domanda è stata: ma chi mai potrebbe comprare un libro simile?
Sergio Rizzo, che questa estate è passato dal Corriere della Sera a Repubblica per fare il vicedirettore, ha presentato un po’ ovunque questo suo lavoro che sulle prime (ma anche sulle ultime) ho davvero faticato a inquadrare in un genere.
Un po’ operazione d’illuminismo (nel senso di ispirazione divulgativa per i non di settore) un po’ giornalismo economico corso base, un po’ farsesca travagliata (da M.T.), questo 02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro lascia nella lettura un certo disorientamento.
Ma andiamo per gradi.
L’ambientazione è contemporanea. Le basi sono quelle che dovremmo (il condizionale è d’obbligo) conoscere tutti. Il governo descritto è il governo che sappiamo (e abbiamo sic) in ogni più piccolo dettaglio (sia d’ispirazioni e ideali, sia di forma: con due vicepremier e un premier che ben non si sa che cosa faccia lì, ma che a un certo punto ha dell’orgoglio ancora in una saccoccia che s’era scordato d’avere – speriamo abbia ragione). Eppur Rizzo non fa un nome che sia uno; allude, parla di quello col sigaro, di un pelato, di uno che twitta, di uno che scrive, di un altro che ha questo e quello, ma di nomi, proprio, non ne fa. E questo modo allusivo in ogni caso è talmente palese e talmente facile da svelare che alimenta quel disorientamento di cui parlavo prima, ma è un pregio alle volte più d’un dispregio, perché non abbassa il tono farsesco della messinscena, lo fa caricaturale (mai grottesco, sempre molto sobrio), e strizza l’occhio ma non le meningi del lettore.
Si lascia leggere e comprendere in un godibile sovrappensiero.
Se lo zoccolo è di solida realtà, il resto è tutto inventato, la strampalata “operazione Morris” per uscir dall’euro (con l’incisore alla ricerca del verde giusto per le banconote, e con le istruzioni precise di chi metterci sopra) è molto ben architettata dall’autore, e per un motivo molto sconfortante: perché nella forma talmente grossolana e facile che ha, viene ad essere ahimè plausibile. La nuova Lira, (la moneta reintrodotta dopo l’uscita) così come vien presentata, oggi andrebbe per la maggiore. Con un referendum io non sarei così sicuro non ci ritroveremmo il caro vecchio col toscano sopra il milione di lire nuove.
Il serpeggiare della narrazione è molto fatuo, molto leggero, non sprofonda mai, rimane a pelo d’erba, ben visibile, e si muove con leggerezza e velocità; si fa presto ad accelerare, a trovare e superare il collegamento, e se ci si lascia troppo prender dalla foga, pur quasi a pensare che è tutto vero. E forse anche questo dà quel senso di disorientamento già detto, però questa volta non in una accezione positiva. Perché distrae, dà straniamento, rimanda come una strana sensazione d’aver tra le mani un quotidiano aperto.
Per esempio: l’incontro tra Chiara (Capo delle gestioni patrimoniali) e Gunther (speculatore colluso col marito, politico ambiguo e sovranista) ha un dialogo molto stringato, molto evanescente, molto piatto, che se uno non ci sta un pelo attento non capisce che è qua che in Chiara salta in testa il germe del sospetto; ma non c’è problema, perché nel capitolo successivo è rispiegato, e comunque tre capitoli più in là si rivede di nuovo tutto attraverso l’obiezione di coscienza del premier col ritrovato orgoglio. È una pecca di stile da giornalista, che alla comprensione sacrifica il mistero, la suspense, quel poco in più di torsione che resusciterebbe l’intreccio da questa costante sequela di causa-effetto che sta benissimo nei redazionali, un poco meno in copertina rigida.
Insomma, è un romanzo non romanzo, è un saggio non saggio, è un articolo non articolo, è un redazionale non redazionale, che però tutto sommato funziona, e, sotto certi aspetti, attraverso una ragionata e ben esposta predizione, spacca e dunque induce e deduce le stimmate del nostro tempo, le sviluppa e le forza verso il baratro peggio auspicabile. Vorrei sottolineare, “le forza”, non per presa di coscienza, non per disaccordo o appartenenza politica, ma per un moto nel cuor mio di speranza, ostinata e testarda: la speranza di non esser oggi al punto di dire che Sergio Rizzo abbia ACCOMPAGNATO il nostro tempo alle conseguenze naturali delle azioni del governo.
Approfondimento:
Il 7 gennaio uscirà un film di Toby Haynes con Benedict Cumberbatch dal titolo “Brexit: the uncivil war”. È un film che già dalle prime anticipazioni mi ha incuriosito alquanto, perché, anche se la storia vera dalla quale è tratto, chiaramente, non penso sia stata così coinvolgente come viene descritta, è innegabile che agghindata a quel modo, con una sceneggiatura di quel tipo, sembra avere la natura d’un bell’intrattenimento.
Ecco, 02.02.2020. La notte che uscimmo dall’euro di Sergio Rizzo, nella sua distopia economico-sociale, potrebbe, data a Netflix o simili, avere l’ossatura giusta per reggere un buon thriller economico a tinte giallo-verdi, con un Gerard Butler nei panni del populista uno, e Edward Norton come populista due.
A Kevin Spacey (che ormai costa poco) gli facciamo fare il populista vecchio. Lo rilanciamo, gli diamo un ruolo adeguato al suo sconsiderato atteggiamento sessuale, lo paghiamo poco, e passiamo pure per buoni samaritani… avrebbe dovuto pensarci Sorrentino!
Luca Viti
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