
Autore: Giampaolo Simi
Pubblicato da Sellerio - Giugno 2018
Pagine: 432 - Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: La Memoria

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Luca Corbo è il promettente difensore centrale del Rivadarno, vivaio prestigiosissimo del calcio italiano. Su di lui e sul suo futuro pende un'accusa gravissima: aggressione e violenza ai danni di Aurora Lopez, una ragazza conosciuta in una discoteca versiliese durante i festeggiamenti per la vittoria del torneo di Viareggio.
Il padre del ragazzo, Dario Corbo, ex cronista nero, intraprenderà la sua personale indagine, incredulo e disperato, alla ricerca, prima che della verità, del figlio che credeva di conoscere.

Decalogo di Knox alla mano, cerco di dar valutazione oggettiva di questo romanzo. Collezionando informazioni circa il testo scopro che Dario Corbo (il protagonista) è una ricorrenza nella produzione dell’autore, già di ruolo nel precedente “La ragazza sbagliata” (sempre edito Sellerio, 2017 ). Come si preoccupa di appuntare Giampaolo Simi nel suo blog personale “Dario Corbo ritorna, ma non è un sequel”. Punto a favore. È infatti questo romanzo capace di star in piedi da solo, senza la necessità di dover far ricorsi e rimandi a fatti appartenuti ad altre pagine e volumi, anzi. Il rivangare il passato c’è ma in un modo fumoso e accennato, ammanta il personaggio d’un fascino vissuto e misterioso e crea non poca curiosità al di fuori dell’intreccio principale; merito pure della fatale e infantile Nora Beckford e del suo rapporto con il padre artista e con la sua ultima e intricatissima opera “Black Box”. (a là Serge e Charlotte Gainsbourg de “Lemon Incest”).
Ma torniamo al decalogo di Knox. Non sono un giallista appassionato, non ho mai avuto gran passione per il genere, ma le sue meccaniche mi hanno sempre affascinato. Sarà che ancora mi vanto d’aver scoperto a mezzo libro il colpevole de “Il nome della rosa”, ma il mio sadico quinto senso e mezzo rivelatore mi porta ad approcciarmi a certe letture col piglio da Scooby Doo: convinto che quelli veramente da temere sono gli speculatori edilizi, non credo mai fino in fondo ai tranelli che l’autore mi tende, non seguo piste false, non mi lascio influenzare dalla supposta colpevolezza di personaggi “parafulmine” messi là solo per attirare i miei sospetti. In definitiva, mi piacciono come piace ai vecchi mettersi a guardare i cantieri stradali. Ammiro l’opera, ma sovente critico la mano del muratore.
Il giallo, però, è un genere che non può soddisfare i criteri estetici e di valutazione della narrativa “di letteratura”, presa nella sua concezione più alta (almeno non tutti). Ad esempio, un giallo non può permettersi d’esser eccessivamente complesso. Un giallo non può permettersi l’irrazionale. Non può permettersi d’avere cinesi nella sua trama (lo dice Knox, esimio teologo, presbitero e scrittore britannico che nel ventinove (millenovecento) ha stilato i canoni del perfetto giallo deduttivo). Ha redatto una lista pure Van Dine, ma è molto più prolissa e molto più lunga (sono venti i canoni individuati) e ha tradito quello che per me è una necessità imprescindibile del genere che cercava di regolamentare: la velocità.
Ecco la caratteristica principe anche del romanzo di Simi: la velocità. Si parla di una velocità virile (direi sbrigativa, ma pensando alla concretezza di Humphrey Bogart), con uno stile da giornalista di cronaca nera, preciso e attentissimo ai particolari, bravo a delineare, e dove anche la disperazione è scientifica e non coinvolge empaticamente il lettore – che i sentimenti in un giallo di consumo, almeno nel mio gusto, devono avere una forma differente da quella che hanno nella narrativa canonica, non protagonisti ma scenografia, caratterizzanti ma non asfissianti, cornici a ciò che fa da cuore al romanzo: l’azione.
Ancora un punto per Simi. Soprattutto per lo stile. Singolare (ma vincente) la scelta di impostare la struttura del romanzo come un colloquio-confessione al figlio: scelta che “invecchia” la voce del narratore e lascia entrare, senza pateticità o vetusta e mimante gergalità finto-giovanile, le descrizioni delle reti sociali e dei loro aberranti e avvilenti meccanismi, rendendo loro una patinettina di dignità letteraria che altrimenti non avrebbero avuto (almeno per me). Mi sono soprattutto piaciuti i riferimenti musicali, che vi prego, cercate pure voi, che “Pioggia di Marzo” e “Downtown train” non fanno mai male, sono canzoni bellissime, lasciatemi fare il vecchio pure a me!
Oggi i fatti contano poco o nulla. I fatti, crudi e sconditi, sono così irrilevanti che, se li sostituisci con dei sugosi fattoidi, nessuno nota la differenza.
Per quanto riguarda invece l’intreccio vero e proprio, devo dire ammirevole è il lavoro di Simi, che oltre a sviluppare la storia intorno al fatto principe del romanzo (la violenza alla giovane), è stato capace di ricreare il fracasso sguaiato e ignorante con il quale la “nuova informazione”, o come l’ha definita Steve Teisch, la “post-verità”, incornicia la cronaca del mondo emerso. La classica investigazione deduttiva del protagonista, colonna vertebrale del giallo classico, qui si arricchisce e si punteggia di fotografie vivissime e precise della “vita virtuale”, ormai l’unica vita conosciuta e unica via di relazione tra i millenials. È da vecchi dire “uno spaccato del mondo dei giovani”, suona a metà fra un servizio fuori fuoco di Lucignolo e un monologo cattolico conservatore della Clerici, ma anche questa è l’operazione di Simi, che però rimane su livelli di dignità e decenza narrativa per tutta la lunghezza del romanzo, senza mai scivolare nella banalità o nella goffaggine. Viene mostrata una mancanza di misura, un’apatia, una strafottenza di facciata, l’incapacità di “presenza” dei millenials: ovvero quella di esistere qui, e ora, e non ovunque in ogni momento; ma anche, e soprattutto, il rovello di un padre che da una parte si chiede dove siano finiti i suoi insegnamenti e dall’altra dove sia finito il figlio che credeva di avere. (O chi sia diventato).
È proprio quando pensi solo a metterti in salvo che il diavolo ti aspetta.
È un romanzo nel quale bene e male si confondono, giusto e sbagliato stanno e non stanno, insieme, divisi o assenti; la velocità alla quale prima facevo riferimento non lascia spazio ad approfondimento alcuno durante lo svolgimento, e al termine della lettura ci si arriva con una specie di alone vibrante e disorientato, e si finisce col chiedersi: ma chi ha avuto ragione? E chi torto?
Attraverso tutto questo si muove e agisce Dario Corbo, tra il passato e il presente perpetuo, l’istinto di famiglia (quale?) le vicinanze e le distanze, le misure, e la presenza ectoplasmica di Nora Beckford, affascinante ed essenziale.
In definitiva: il mistero si svolge e risolve con una tempistica ben architettata, il lettore viene accompagnato, deduce e riconosce deduzioni assieme al protagonista, collega alle volte prima alle volte dopo, in una simbiosi con Corbo che prende e trascina, dall’inizio alla fine, senza tirare un fiato. Coinvolgente, semplice semplice, leggibile soprappensiero per svagarsi, plausibile (e qui si vede che è italiano, nella sua accezione positiva) e direi che avrebbe l’approvazione di Knox!
Approfondimento
A Melbourne, il ventidue Agosto del duemilaquattordici, all’MTC ha esordito l’opera teatrale “The Sublime” di Brendan Cowell. Opera ambientata nel mondo del rugby australiano, parte dalla stessa premessa del libro di Simi: una ragazza viene violentata da un giocatore.
Cowell gli scrive questa battuta: “I’m a fuckin’ football player! I go into the field and i try to hit people, and you ask me to be quiet? You ask me to be quiet after i went through all that stuff you liked to watch me do?!”.
L’opera teatrale scandaglia l’ambiguità e gli effetti della violenza e dell’adrenalina che nei giovani rugbisti viene fomentata per arricchire la prestazione sportiva e che questi non sanno placare fuor dalla partita; l’ambiguità di una virilità spinta e pungolata, inneggiata come ai fasti dei gladiatori romani; la glorificazione e la condanna di uno spirito sanguinario e implacabile da semi-divinità olimpica.
Dario Corbo prova con tutto se stesso a credere che suo figlio non sia caduto preda di questo infernale meccanismo, e seguita a indagare, disperatamente, da padre, correndo sempre più veloce per non farsi prendere da quel dubbio strisciante che piano piano si fa largo e crepa la sua fiducia nel figlio. Un dubbio che esce dall’intreccio di fantasia e ci proietta sulla cronaca contemporanea. Ma non dico altro, non dico di più, il giallo vero deve saper coinvolgere da solo, senza aiuti (terza legge del mio canone dopo la velocità e il sentimento accessorio).
Luca Viti
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