Autore: Alberto Garlini
Pubblicato da Mondadori - Aprile 2019
Pagine: 175 - Genere: Narrativa Italiana
Formato disponibile: Copertina Rigida, eBook
Collana: Scrittori Italiani e Stranieri
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La storia di un’amicizia, quella tra l’autore e Pierluigi Cappello; ma anche e soprattutto la storia di quel momento della vita in cui una decisione deve essere presa, in cui, davanti a un bivio, una strada deve essere scelta. Alberto Garlini si mette a nudo senza vergogna, senza remore facendo di se stesso un protagonista sull’orlo di un abisso, alla ricerca del modo per uscirne, per restare a galla. Alla ricerca del suo percorso.
Questa è la mia storia, la storia conservata nella mia memoria, e non voglio altro che comprendere o anche solo alludere a come l’amicizia e la poesia si sono sedimentate nella mia particolare leggenda: la verità oggettiva, sia detto senza delirio, non mi interessa.
Nel Friuli degli anni Novanta, in fermento culturale, dove si fanno feste e incontri di poesia, un giovane uomo, laureato in giurisprudenza, vive la consapevolezza di aver scelto la strada sbagliata. Prova a scrivere poesie e a entrare a suo modo, per quel che può, nel mondo della letteratura. Una sera l’incontro casuale che in parte gli cambierà la vita: conosce il poeta Pierluigi Cappello. Un episodio dettato dal caso che si convertirà in profonda e indissolubile amicizia: quell’amicizia che sempre c’è, quell’amicizia che è sostegno, ma soprattutto confronto.
… ho capito subito che sarebbe durata per sempre, perché c’era tutto ciò di cui avevamo bisogno …
Attraverso questo rapporto, che rimane linea costante del romanzo, il giovane uomo che è poi Garlini stesso, cercherà di indagare la sua strada e, soprattutto, cercherà di emergere da una profonda crisi esistenziale. Il canto dell’ippopotamo è, in fondo, la storia di un’anima allo sbando che, come tutte le anime, ha bisogno di uno o più punti fissi ai quali potersi aggrappare, sui quali fondare la propria personale rinascita. O almeno provarci.
Il canto dell’ ippopotami nasce, a detta dello stesso Alberto Garlini, dal desiderio di imprimere alcuni ricordi, prima che l’azione della memoria riesca ad attutirli, a modificarli e in parte a dimenticarli anche. E il romanzo a tratti appare proprio come una serie di fotogrammi, di episodi di un vissuto, pescati da un taccuino o, appunto, dalla mente stessa. Una narrazione che pare salire, crescere, come a farci vedere una sorta di consapevolezza e di “emancipazione” del protagonista fino al punto centrale della storia, il punto di svolta. Quel momento dove avviene lo “scontro primario tra verità e violenza”, quello che Garlini scrive essere il tema di tutti i suoi romanzi; quel momento, che non voglio descrivere per non toglierne il gusto a chi leggerà Il canto dell’ippopotamo, da dove tutto cambierà.
Finsi di non vedere, forse perché non volevo vedere e forse perché sapevo che quella scena mi avrebbe rotto dentro, rotto per sempre, e non c’era nulla da fare, nulla da dire, se non osservare la mia nudità, il vuoto assoluto che ero.
Nella seconda parte, infatti, la narrazione pare essere una precipitosa caduta negli inferi della mente, fino al riscatto finale.
A fianco del protagonista in questa discesa troviamo una splendida dark lady (unico personaggio inventato nella narrazione di Garlini, o comunque insieme di dettagli di altre donne, di altri amori, di altre “storie di pelle”), una bellissima donna, a suo modo misteriosa e inafferrabile. Una sorta di Satana al quale non si può fare a meno che cedere, pur conoscendo a priori il prezzo che si dovrà pagare: la dannazione appunto, il dolore. Un personaggio descritto attraverso dettagli che lo rendono unico, memorabile. Dettagli che si imprimono nell’occhio del lettore.
Sullo sfondo la figura costante di Cappello. Anche quando non c’è, la sua presenza si sente: la sua funzione pare essere quella di mitigare il delirio del protagonista, di essere un rifugio e, in fondo, di donare una sorta di tocco leggero (ma leggero nel senso di delicato) a una storia fatta di tratti non solo dolorosi, ma anche spigolosi e parecchio bui. Cappello appare, appunto, come una sorta di luce, di appiglio.
Il canto dell’ippopotamo è, in fondo, l’incontro e il confronto tra persone diverse che trovano una strada comune o che, comunque, trovano il modo o la necessità di far convergere parte dei propri percorsi. Un poeta che è poeta in quanto voce originale e unica, e un romanziere (perché il nostro protagonista abbandonerà la strada della poesia) che cerca il proprio conforto nella narrazione della vita degli altri. O forse nel raccontare un poco della sua vita servendosi degli altri.
Il canto dell’ippopotamo è l’omaggio dell’autore a un amico, è il riconoscere ciò che per lui è stato, è dire: forse, senza la tua presenza, io oggi sarei un’altra persona. È, come già detto, mettersi a nudo davanti ai propri lettori, quindi è anche un forte atto di coraggio.
Approfondimento
Alberto Garlini sceglie di parlarci in prima persona, sceglie di guardarci negli occhi e di dire “eccomi sono qua, sono io!”. Sceglie quella prima persona che pare essere quella del diario, se non fosse per il tono ammiccante al lettore, a tratti anche pregno di un’ironia amara. Forse, sarebbe giusto dire che sceglie il tono della confessione. E questo ci coinvolge, ci trascina insieme al protagonista nelle sue discese e risalite, ci sentiamo partecipi dei suoi pensieri, perché quei pensieri li vediamo, quelle domande vengono fatte anche a noi.
Perché leggere 02? Prima di tutto perché è un bel romanzo. Secondo perché ci fa conoscere un poco di più un personaggio come Pierluigi Cappello e, sicuramente, innesterà in noi la voglia di approfondire, di leggere la sua poesia, o di rileggerla. Poi per percepire il fermento di un’epoca che inizia a essere lontana da questo nostro presente e anche di un particolare contesto geografico; per i capricci della bellissima Esther e per il già citato coraggio del Garlini. Per la curiosità di indagare l’animo di un romanziere o del percorso che ha fatto per arrivare a esserlo.
Senza trauma sei senza vita. La vita prima o poi ti traumatizza, scrivere significa provare a cicatrizzare il dolore e a non dimenticare, nonostante il trauma, la felicità ancora possibile.
Monia Merli