Autore: Giorgio Bassani
Pubblicato da Einaudi - 2005
Pagine: 394 - Genere: Classici
Formato disponibile: Brossura
Collana: Einaudi tascabili. Scrittori
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Siamo a Cerveteri in compagnia di amici, si decide di spingersi alla visita delle tombe etrusche. La brigata è tutt’altro che allegra, tranne la piccola Giannina, la quale ,dopo un’escursione marina, è ancora piena di energie e chiede se siano più antichi gli Ebrei o gli Etruschi. Il protagonista-narratore, identificabile con molta probabilità con G. Bassani, si allontana col pensiero e ripercorre la storia della tomba dei Finzi-Contini e dell’intreccio che si dipana in quella casa ebrea ( magna domus) e in quel giardino.
Il giardino dei Finzi Contini. Siamo a Cerveteri in compagnia di amici, si decide di spingersi alla visita delle tombe etrusche. La brigata è tutt’altro che allegra, tranne la piccola Giannina, la quale ,dopo un’escursione marina, è ancora piena di energie e chiede se siano più antichi gli Ebrei o gli Etruschi. Il protagonista-narratore, identificabile con molta probabilità con G. Bassani, si allontana col pensiero e ripercorre la storia della tomba dei Finzi-Contini e dell’intreccio che si dipana in quella casa ebrea ( magna domus) e in quel giardino.
E’ quella dei Finzi-Contini un’ aristocratica famiglia ferrarese di origine ebrea, apparentemente sussiegosa , non si lascia scalfire dalla realtà circostante né cerca relazioni col potere. Il nonno rifiuta la tessera fascista facendo scivolare cinquemila lire nella tasca del gerarca. Da quando è morto il piccolo Guido a sei anni, la madre Olga non è più uscita di casa e ci tiene che i suoi figli (Alberto e Micòl) si tengano lontani dalla strutture pubbliche, per l’ossessione dei microbi. Tant’è che i ragazzi non frequentano la scuola pubblica, ma hanno professori privati che vanno nella loro magnifica casa. Non mettono mai il naso fuori di quel bel giardino, ad eccezione dei giorni delle festività ebraiche e delle riunioni nella Sinagoga. Si sottopongono ovviamente ad esami da privatisti nel Liceo Classico che frequenta il protagonista-narratore, il cui nome non viene mai svelato. Questi è magneticamente attratto dalla famiglia dei Finzi- Contini, benché il padre rigidamente cerchi di tenerlo lontano; quando si incontrano nei riti ebrei, non può fare a meno di volgere lo sguardo ammirato verso Alberto e la bella Micòl, provandone da fanciullo un’attrazione che poi si rivela amore. Nel giugno del 1929 avviene il primo incontro importante tra il protagonista e Micòl. E’ finito l’anno scolastico, il protagonista frequenta la Quinta Ginnasio ed eccezionalmente, proprio lui, un prodigio scolastico, viene rimandato ad ottobre in matematica. In preda alla disperazione fugge e inizia un peregrinare cieco per la città, fino a pervenire fiaccato davanti al muro di cinta del noto giardino.
Qui Micòl lo sorprende a terra , spossato e disperato e lo invita ad entrare; Micòl è attratta da lui, che si rende conto di nutrire un sentimento che certo non è semplice amicizia; comincia così a vagheggiare una storia d’amore che col tempo si rivela fallimentare. Il protagonista frequenta sempre più assiduamente la domus aurea e, cacciato, per legge razziale, dal club di tennis, viene invitato a giocare dalla nobile famiglia. Il padre Ermanno, apparentemente altezzoso, si rivela invece paterno e affettuoso, e mette a disposizione anche la sua fornitissima biblioteca. Tra gli amici si distingue anche un certo Giampiero Malnate, verso cui Alberto nutre una sconfinata ammirazione, anche ambigua; giovane talentuoso questi è un comunista milanese che lavora a Ferrara. Insomma nasce un’amicizia fecondissima con tratti di solidarietà umana commovente, con implicazioni sentimentali che legano il protagonista alla bella e intelligente fanciulla dagli occhi grandissimi, Micòl. Per un intreccio di circostanze che non intendo svelare, perché dovete leggere il libro, l’amore non va in porto. Di chi è innamorata Micol? Quale sarà la sua fine? E quella di Alberto? E il comunista Giampiero? Certo è che in quella tomba dei Finzi-Contini, ormai un rudere tra le erbacce, riposa solo il piccolo Guido. Leggete attentamente e scoprirete perché.
Ho riletto Il giardino dei Finzi Contini a distanza di trentacinque anni e devo dire che ho apprezzato ancora di più questo capolavoro di G. Bassani, bolognese, morto nel 2000. Anche l’inizio, che notoriamente viene considerato ostico per via della celebre digressione sulle tombe, specie quella ebrea dei Finzi-Contini, emana un fascino rovinistico di grande impatto emotivo. Non è, come si suol sostenere, un orpello ornamentale fine a se stesso, ma prepara il tessuto connettivo del romanzo e anticipa magistralmente in prolessi il destino della augusta famiglia. Ho riscoperto cosa significa essere Romanziere, creatore o rielaboratore di una storia coesa e curata nei minimi dettagli, dove nulla viene lasciato al caso, ma il tutto è il risultato di uno studio attento che scolpisce la memoria di chi legge fino a rendere indimenticabile il giardino, la domus aurea, la Sinagoga, i riti ebraici, annessa la festività della Pasqua. Oggi, in cui troppi si improvvisano scrittori o poeti, c’è bisogno estremo di rileggere i grandi perché scrittori non si nasce, ma si diventa, come Bassani magistralmente ci insegna. E chi dimentica più questa Ferrara dilaniata dalla guerra? Queste famiglie vittime della persecuzione razziale? Questo stile elegante e curato in tutti i particolari, in cui manzoniamente nulla sfugge, ma tutto rientra in un progetto letterario che vuole arrivare al pubblico? Mentre oggi si scrive troppo spesso per narcisistico autocompiacimento perdendo di vista il target cui ci si vuole rivolgere; il pubblico è importantissimo, come sosteneva Manzoni e per lui che bisogna scrivere. Allo stesso modo, Bassani rende immortale una storia, un’epoca, una famiglia, l’intera città di Ferrara, mirabilmente delineata e descritta, soprattutto se si pensa che quel giardino a Ferrara non c’è mai stato. Ma quel che conta è l’intensità del sentimento del protagonista che ha saputo sognare una storia partendo da uno striscio fanciullesco: “ Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno? Più di trenta. Eppure, se chiudo gli occhi, Micòl Finzi-Contini sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla”.