Autore: Aldo Cazzullo
Pubblicato da Mondadori - Settembre 2021
Pagine: 288 - Genere: Saggi
Formato disponibile: Audiolibro, Brossura, eBook
Collana: Strade blu
ISBN: 9788804742333
ASIN: B09BYHGLGN
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“Purgatorio è il luogo del «quasi», dell’attesa della felicità”, ammantato di tutto il “fascino di una città di confine.”
Un’opera che, nella ricorrenza dei 700 anni dalla morte del sommo vate, ci riconsegna, tirato a lucido, il mirabolante splendore di un’impresa proteiforme dell’ingegno umano, di un viaggio ultraterreno attraversato da un’ansia di purificazione nel lavacro della Poesia che è di ogni uomo, di ieri come di oggi.
E che ci punta il dito contro, esortandoci ad abbandonare le sabbie mobili della mediocrità asfittica e senza futuro per puntare uno sguardo spavaldo e speranzoso verso l’alto. Liberi dai ceppi che avvinghiano piedi e testa.
Un’esortazione alla scarificazione del nostro vivere quotidiano, a mettere orgogliosamente a nudo le proprie cicatrici per mondarle nella Luce beatifica che illumina il volto del Pellegrino che voglia rimanere “in cordata” con il suo “duce”.
“Il ritmo ci incalza. Dante ci sfida a tenere il suo passo vorticoso, a reggere il moto continuo del suo animo, a calarci nella vertigine della sua mente. Non possiamo sottrarci."
Un “eroe del pensiero”, l’”Omero dei tempi moderni” nella felice intuizione di Madame de Staël, riconosciuto come “poeta e profeta” da Papa Francesco, capace di parlare agli uomini di ogni epoca, d’inaugurare in essi una maieutica delle loro istanze più recondite e vere, mai prima d’ora venute a giorno, se è vero che “ognuno ha riletto Dante alla luce delle passioni”, certo strattonandolo da una parte all’altra nel goffo tentativo di una cooptazione impossibile.
È questo il gigante sulle immani orme del quale si mette Aldo Cazzullo: lo fa edificando con grande perizia un’opera scorrevole, organizzata per quadri forse un po’ schematici ma giustificati dall’intento di ricalcare l’architettura del testo con cui dialoga, costellati di episodi salienti ed aneddoti poco noti, resi con un gusto cinematografico che non mancherà di impressionare la fantasia del lettore.
Liquidati nel precedente “A riveder le stelle” i “lamenti feroci” della rassegna infernale, Cazzullo volge il proprio sguardo competente alla maestosa piramide del Purgatorio, un mondo “terzo” rispetto all’accentuata antiteticità di Paradiso e Inferno.
Una montagna suddivisa in sette gradoni, nei quali vengono puniti i sette peccati capitali (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria).
Uno sforzo di rappresentazione non indifferente, per tenere fede al quale l’autore decide di lavorare per larghe pennellate.
Una scelta che si rivela felice: davanti al cavalletto si stagliano i contorni di una dimensione oltremondana le cui prerogative fondanti vanno rintracciate nel pentimento sospirante di chi sa che per sé è stata detta l’ultima, salvifica, parola: dal cromatismo abbacinante ai soavi canti di lode che si innalzano dalle cornici, tutto concorre alla geografia dimessa di un territorio votato all’espiazione ed al rendimento di grazie.
Un gioco di specchi nel quale, a riverberarsi in maniera virtualmente infinita, è l’immagine dell’Uomo e dell’universo valoriale in cui Egli si riconosce.
Il fascino del Purgatorio è nell’essere una terra di mezzo. Le anime qui sono salve, ma portano ancora il segno del dolore patito, del male fatto. E il diavolo, ricacciato nell’Inferno, torna talora a manifestarsi.
Il ricorso insistente a un taglio cronachistico conferisce a Il posto degli uomini una chiara valenza divulgativa che, se da una parte catapulta il lettore sul più sublime dei palcoscenici, dall’altra lo incita ad accostarvisi con leggerezza, allettandone la curiosità con un’antologia fiorente dalla quale traspare la maestria con cui Dante evoca intere epopee nel volgere di una terzina, incastonandole all’interno di un assetto cosmico di immane complessità e ricchezza.
Nel quale trova spazio una visione di sconvolgente attualità, la cui estrema eco perviene sino a noi.
L’idea dell’Italia e della sua missione di cultura e di bellezza – comincia con Dante.
Approfondimento
Eugenio Montale ebbe modo di osservare che “la vera poesia abbia sempre il carattere di un dono, e che pertanto essa presupponga la dignità di chi lo riceve, questo è forse il maggior insegnamento che Dante ci abbia lasciato.”
Quella di Durante Allaghieri è una vita interamente trasfusa nella propria arte: uomo del Medioevo, certamente, ma in possesso di un’acutezza capace di penetrare le umane vicende per scorgervi orizzonti di senso che è impossibile dominare nella loro interezza nemmeno a sette secoli di distanza, così come di scagliarsi con inusitata veemenza contro le aberrazioni di una “serva Italia, di dolore ostello” dilaniata da lotte intestine e incapace di riconoscersi in tutta la propria irriproducibile identità fondativa.
Un ragionare “profondo, non difficile”, in un movimento epiciclico nel quale la prosa aulica è asservita alla trattazione analitica dei temi politici tanto cari a Dante, circonfusi però di un’aura di sacralità e rischiarati dall’influsso pacificatore di una sovrumana Bellezza che non conosce tramonto.
Un regno in bilico tra abisso ed empireo, per rendere il quale Dante attinge a una gamma eterogenea di registri, con ciò dando prova di incommensurabile perizia linguistica (“per correr miglior acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno…”) suggerendo la propria ferma convinzione che nessuno di questi meriti di rimanerne tagliato fuori.
Dante sentiva di dover usare tutti i registri, l’alto e il basso, il sublime e il grottesco. Sentiva di dover divenire, anche grazie alla lingua, tutte le persone, pure i dannati, pure i peccatori.
Un impianto, quello del Purgatorio, sorretto e orientato dall’indirizzo a personaggi che si trascinano dietro tutta la propria irriducibile e caduca umanità: è un repertorio rutilante che va da Pia dei Tolomei al liutaio Belacqua, dal signore di Verona Alberto della Scala a Papa Adriano V, raro esempio di Pontefice “graziato” dalle fiamme infernali, dal trovatore Sordello da Goito al musico toscano Casella.
Uomini noti e meno noti, messi giustamente in risalto in quest’opera nella quale trovano posto anche luoghi fondativi della costruenda identità italiana: si pensi alla fortezza di San Leo così come all’eremo di Camaldoli, alla rocca di Radicofani come anche alle terme di San Casciano, o ancora al Golfo dei Poeti.
Un Dante competente d’Italia, insomma.
Quello che viene offerto agli occhi cupidi del lettore dal saggio di Cazzullo è un vassoio da portata traboccante di motivi antropologici dalla forte valenza simbolica: l’ascensione, lo sgravio dal peso dei peccati e dalla superfetazione delle sovrastrutture, l’affrancarsi dai circoli viziosi che lentamente si avviticchiano intorno alle nostre vite relegandoci nella veste angusta di meri soddisfattoti del bieco substrato istintuale, e poi ancora l’incontro e la prova, che riservano sorprese senza fine ad ogni passo del cammino ultraterreno ed esigono l’atteggiamento discostato di chi è conscio di non potersi considerare giunto a destinazione di quello che rimane un incessante processo epurativo.
Lodevole la sottigliezza di ragionamento con cui Cazzullo perora quella che sembra essere la tesi di fondo del testo, secondo la quale, pur nell’ubriacatura di riferimenti a eventi, luoghi e personaggi, protagonista della Commedia rimane l’Uomo, come entità autocosciente e autonormata distesa nel Tempo.
Intessuto di una fulgida tensione alla palingenesi che è, essa stessa, tangibile promessa di Paradiso.
Non bisognerebbe mai lasciar passare una giornata senza guardare il cielo, liberandoci anche solo per un attimo delle preoccupazioni che ci limitano, e finiscono per renderci estranei a noi stessi.
È forse questo l’orizzonte di senso della Cantica di mezzo, che tanto ha titillato l’ermeneutica dantesca: mentre viene celebrata la Volontà divina, si rimarca come non possa esservi in alcun modo Salvezza contro la volontà umana.
Vien da concludere che sia questo il messaggio di fondo del volo in versi dantesco abilmente messo in rilievo dall’autore di Il posto degli uomini: esiste una Parola più forte delle nostre paure, più corrosiva del Tempo, più tenace della Morte.
Nessuno può dirsi estraneo, la “profezia” di Dante interpella anche noi: guardiamo a lui, il cui sguardo penetrante si posa oggi su noi.
Non ci lascerà mai indifferenti.