Autore: Gaile Parkin
Pubblicato da Newton Compton - Dicembre 2014
Pagine: 268 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura
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Ruanda, pasticcini e tè speziato: sono questi i tre elementi che rappresentano il fil rouge del romanzo. Angel, un’energetica cinquantenne ruandese, svolge un mestiere tanto peculiare quanto apprezzato dagli abitanti di Kigali, paese dell’Africa Orientale: realizza torte su commissione, per feste ed eventi. Tra nipoti, “caldane” e impasti, si sviluppa l’esistenza della protagonista, che si intreccia con quelle dei suoi clienti che, tra un biscotto e l’altro, raccontano di sé e delle proprie, a volte tragiche, esperienze.
Attraverso un linguaggio scorrevole e altamente fruibile, Gaile Parkin ne Il profumo dello zucchero a velo ci offre la visione di stralci di vita del popolo kigalese, che concedono l’occasione per evidenziare problematiche quanto mai imperanti: dai disagi provocati dall’HIV, i cui sintomi e mezzi preventivi non sono ancora universalmente conosciuti e adottati, a una disparità tra i sessi radicata in profondi stigmi sociali, alla relazione complessa degli abitanti coi recenti fantasmi del genocidio del ’94.
Problematiche che si instaurano in una contesto che, se da un lato appare “occidentalizzato” per le relativa ricchezza di cui dispone (vedasi già il lavoro svolto dalla protagonista, che essenzialmente è produttrice di beni che possono essere considerati “di lusso”), dall’altro si costituisce di difficoltà interne che in altri paesi sono ampiamente superate (come la malaria, malattia ancor presente, che viene considerata alla stregua di una banale febbre, o la persistenza del concetto di “superiorità del figlio maschio” o la presenza, in alcune zone, di crudeli pratiche come l’infibulazione).
Di questi concetti sono portatrici le vicende umane dei personaggi che l’autrice presenta con stile sempre incalzante, soprattutto nell’atto dell’offerta del tè. Tra dolci caldi e profumi accoglienti, Angel infatti svolge i suoi “colloqui” coi committenti, per scoprire quale sia la storia dietro ogni torta richiesta. Così, il salotto della pasticciera da laboratorio artigianale si trasforma spesso e volentieri nello studio di uno psicoterapeuta o nel confessionale di un parroco, in cui i suoi clienti/pazienti possono aspirare alla catarsi tramite il racconto delle loro vicende.
Per rendere i lettori occidentali con–partecipi di esperienze apparentemente distanti dalle proprie (per separazione geografica, linguistica, culturale) si possono adottare generalmente due modalità differenti: o tramite visioni shockanti e violentemente impressionanti (vedasi spot pubblicitari che propongono costantemente immagini crude ed emotivamente brutali), o (ed è questo il caso de Il profumo dello zucchero a velo) introducendo i lettori nella quotidianità degli abitanti del luogo, con tutte le piccolezze di cui è composta (dalla preparazione di piatti tradizionali a base di cocco e spezie, ai mezzi di trasporto, ai colori delle stoffe degli abiti muliebri).
Dunque, questa eterogeneità linguistica, sociale, politica del territorio ruandese, viene qui espressa da Gaile Parkin in una struttura ben organica e fruibile, in cui una delle presenze più costanti e rassicuranti si rivela essere il cibo: cibo che è verità, cibo che è comunità, cibo che è aggregazione, poiché “[…] Gli ingredienti non fanno niente da soli, ma quando lavorano tutti insieme, restano uniti e lievitano. Vengono colpiti, ma si ribellano.”
Approfondimento
Il profumo dello zucchero a velo è un romanzo altamente consigliabile, sia per l’accessibilità del linguaggio e della struttura (ogni capitolo consta di poco più di una ventina di pagine e la presenza di numerosi intrecci, seppur lineari, mantiene costantemente attiva l’attenzione del lettore), sia per il lascito emotivo e culturale che si offre al termine della lettura.
Uno dei maggiori punti di forza del racconto è quello di saper sfruttare appieno una potenzialità della storia romanzata e verosimile: quella di instillare la curiosità. Curiosità verso il contesto sociale, verso lo stile di vita, le abitudini, che porta il lettore alla documentazione dell’after reading. Così, tra la ricerca del significato di pikipiki, kanga e makote, si passa alla scoperta delle tragedie di un popolo, della cui storia ancora troppo poco si discute.
Gabriella Esposito