
Autore: Gesuino Némus
Pubblicato da Elliot - Settembre 2015
Pagine: 238 - Genere: Gialli
Formato disponibile: Brossura
Collana: Scatti

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Lo sbarco dell’uomo sulla Luna merita di essere attentamente osservato e, perché no, accompagnato con dell’ottimo cannonau d’annata e del pane frattau appena sfornato. Ma il maresciallo de Stefani non potrà godere di cotante prelibatezze, poiché trascorrerà la fatidica notte cercando di far luce sulla scomparsa del piccolo Matteo e sulla morte dei suoi genitori. Un piccolo caso per il paesetto, ma una grande sfida per il maresciallo.

20 luglio 1969. Giorno che tutti, o quasi, ricordano come quello dello sbarco dei primi uomini sulla Luna, con un Neil Armstrong che, con passo incerto, declamava a gran voce: “Un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità.” Tuttavia a Telévras, piccolo paese dell’entroterra sardo, quel fatidico giorno sarà ricordato per un evento di tutt’altro genere: la morte dei coniugi Bachisio ed Elvira Trudìno e la scomparsa del loro figlio, un bambino prodigio di nome Matteo. Quest’ultimo è un autentico genio: all’età di dodici anni è già un musicista estremamente talentuoso, uno studente modello e, come Gesuino Némus tiene a precisare, “in ordine di apparizione: organista, capochierichetto, lettore delle epistole, intonatore dei cori, accensore dei ceri da 100 lire, addetto alla piccola campana per problemi di statura, prima voce dei misteri gaudiosi, seconda di quelli gloriosi, primo turibolo ai funerali, cantore ufficiale delle novene natalizie e, cosa che lo inorgogliva non poco, assaggiatore del moscato che i fedeli recavano in dono per le celebrazioni importanti” nella parrocchia locale, gestita da don Egisto Cossu.
Quando vengono ritrovati i corpi dei genitori il maresciallo de Stefani, piemontese in trasferta nella località sarda e nella quale non riesce ancora ad ambientarsi, accompagnato dall’appuntato Piras e dallo stesso don Cossu, inizia le indagini per far luce sul mistero, ma scoprirà ben presto quanto è difficile districare l’omertà che regna in un piccolo villaggio sardo.
Era arrivato nell’aprile del ’65 e in quattro anni c’erano stati, nel circondario di sua competenza: 2 sequestri senza rilascio, più di 50 furti di bestiame, circa 30 risse con ferite da pattadèsa, 7 suicidi per impiccagione e, senza tener conto di quello di Bachisio Trudìnu che era ancora incerto, 3 omicidi senza cadavere. Totale: 62 reati gravi (suicidi compresi). Colpevoli trovati: 0 (suicidi a parte). Sospettati: 2.873.
Approfondimento
L’esordio letterario di Gesuino Nèmus, pseudonimo dell’autore de La teologia del cinghiale, nonché del personaggio che di esso è narratore e protagonista, è decisamente un romanzo senza precedenti. Se finora siete, anzi siamo, cresciuti rispettando l’aurea massima “Non giudicare il libro dalla copertina”, ecco l’eccezione che conferma la regola. Già dall’illustrazione iniziale, infatti, si può capire come il testo che si ha di fronte sia qualcosa di estremamente fuori dall’ordinario: un sacerdote dal volto di cinghiale è raffigurato nell’atto di benedire il lettore con la mano destra, mentre nella sinistra impugna saldamente una bottiglia di buon cannonau (il vino sardo per eccellenza) invecchiato. Divertimento e dissacrazione sposati perfettamente in un’unica immagine, non c’è che dire.
Il testo è abbastanza scorrevole nel suo complesso e avvincente in ogni sua singola parte, con un contrasto raffinatissimo tra le numerose citazioni “elevate” presenti (Shakespeare, Socrate, de Andrè, Epicuro) e i motti delle anziane vedove sarde, per concludersi con un magistrale ed inaspettato omaggio alle 95 tesi di quel “cinghiale nella via del Signore” di Lutero.
Ancora più spassose, se possibile, sono i dialoghi fra il trittico formato dal carabiniere Piras, don Cossu il maresciallo de Stefani, che vedono spesso i primi due coalizzati contro l’ufficiale piemontese in una serie di gag irresistibili e perle di saggezza forse molto più profonde di quanto possano apparire a prima vista.
Vi porta un piatto in ceramica con delle fette di prosciutto alte 1 cm e dei tocchi di pecorino stagionato profumatissimi. Ma è il pane la cosa che vi sorprende di più. Sembra una scultura barocca, piena di ghirigori e ornamenti. Durissima la crosta; morbidissima e fragrante la mollica. Lo assaggiate. E capite tutto. Perché è il pane che ti dice quello che vuoi sapere di un popolo.
Andrea Margutti