Autore: Ezio Mauro
Pubblicato da Feltrinelli - Ottobre 2018
Pagine: 144 - Genere: Attualità / Reportage
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Serie Bianca
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Il 3 febbraio 2018 Luca Traini percorre le strade di Macerata a bordo della sua Alfa 147 sparando a nove persone e ferendone sei. Si tratta di nove sconosciuti che hanno la sola colpa di avere la pelle nera. Per questo Traini li ha scelti, per vendicare l’efferato assassinio di Pamela Mastropietro. E non importa se le sue vittime non hanno nessuna relazione con quel delitto. È tempo di fare giustizia: è l’ora della vendetta.
L’uomo bianco. Forse lo ricordiamo un po’ tutti quel sabato di febbraio. Forse ci ricordiamo di aver accesso la tv e di aver appreso che qualcuno aveva iniziato a sparare nel centro di Macerata. Forse in tanti abbiamo pensato ad un attacco terroristico, quello che temevamo da mesi. Poi qualcosa ha iniziato a scricchiolare. I bersagli del folle che percorreva la città a bordo della sua macchina sembravano avere una sola caratteristica in comune: il colore della pelle. Così abbiamo iniziato a capire che quell’atto, chiunque lo stesse compiendo, era strettamente legato all’assassinio di Pamela, la diciottenne romana uccisa da uno spacciatore nigeriano e ritrovata morta solo tre giorni prima.
Dopo aver seminato il panico nella città marchigiana, Luca Traini si è consegnato spontaneamente ai carabinieri. Prima però è sceso dalla sua Alfa, ha lasciato la pistola sul sedile, si è coperto con il tricolore, è salito sul monumento ai Caduti, si è girato verso la piazza e si è congedato con il saluto fascista.
Sarebbe facile parlare del gesto di un pazzo, dell’azione isolata di uno squilibrato. Sarebbe l’alibi che ci permetterebbe di tornare serenamente alle nostre vite. È invece indispensabile provare a scavare sotto quel gesto, come tenta di fare in queste pagine Ezio Mauro, per capirne le ragioni più profonde. Cosa voleva Luca Traini quella mattina di febbraio? Voleva innanzitutto vendicare Pamela perché nella vicenda di quella ragazza rivedeva il riflesso della sua prima fidanzata che non era mai riuscito ad allontanare dalle droghe. Si sentiva quasi obbligato a fare giustizia: sarebbe stato punitore e castigatore.
E allora ecco che non aveva più importanza l’individualità delle persone che incontrava, non c’era tempo per riflettere sul fatto che fossero innocenti: era sufficiente il colore della loro pelle per renderli colpevoli. Traini si era rifugiato nella primitività della carne e del sangue, tornando a credere in una comunità biologica ancor prima che in uno Stato.
Cosa ha reso possibile tutto questo? Possiamo negare di vivere in un contesto in cui episodi di intolleranza razziale vengono troppo spesso banalizzati? Un contesto di “legittimazione strisciante” e “dileggio di chi predica e pratica la tolleranza e la convivenza”? Possiamo dire di non essere tornati a sentire parlare di “spazi, chiusure, zone, permessi, ponti levatoi”? Possiamo dire che il mondo interconnesso e aperto in cui pensavamo di abitare sta rischiando di sgretolarsi sotto i nostri occhi? Sì, possiamo. Anzi, dobbiamo.
Ma cosa ci ha convinto a inneggiare alla costruzione di muri e ad anelare alle barriere? La paura. La paura che si dilata, inducendo comportamenti inattesi. La paura che ci cambia, rendendoci schivi e sospettosi. La paura che deve essere scaricata su un capro espiatorio, qualunque esso sia. Perché quando ci sentiamo fragili, quando quelle che consideravamo certezze iniziano a vacillare, abbiamo bisogno di trovare nuovi appigli. Abbiamo bisogno di sicurezza. E per crearla ci rinchiudiamo in un “noi” che inevitabilmente si contrappone ad un “loro”. E “loro”, di qualsiasi cosa si tratti, sono i cattivi. Da scacciare, punire e allontanare. Con qualsiasi mezzo. Anche sparando alla cieca per le vie di una città. Ma siamo sicuri sia questa la strada da percorrere per costruire il futuro in cui vorremmo vivere?
Approfondimento
Stiamo vivendo qualcosa cui la storia ha già assistito? Potremmo voltarci indietro e rivedere i nostri gesti in chi ci ha preceduto? Forse sì. Il Novecento è lì a ricordarci come sia stata una strada lastricata di cliché colpevolizzanti, preconcetti e discriminazioni a guidare l’Umanità verso l’orrore della Shoah.
Anche Luca Traini era un escluso. Uno che la società aveva sempre rinnegato, schifandolo. Uno che si era sempre sentito sbagliato, fuori posto, quasi abusivo. Uno che ha iniziato a vivere quella mattina di febbraio, quando ha cominciato a sparare. Cosa ha prodotto un cortocircuito simile? Lo ha generato un mondo che continua a edificare muri per emarginare ogni genere di diversità. Perché Traini è anche questo: un escluso che tenta di escludere a sua volta. Un escluso che si attacca al colore della pelle per trovare nuovi nemici, rivendicando il suo essere un “uomo bianco” per potersi scagliare contro chi bianco non è.
La nostra è una società che genera individualità impazzite e spaventate, frammentando e sminuzzando il senso del “noi”. Una società che, da prima, ha rinunciato alla sua vocazione universale e che ormai non crede più alla sua identificazione con un Occidente, un’Europa, un’Italia . Siamo sempre più soli, prigionieri di quei muri che noi stessi abbiamo invocato. Stiamo permettendo alla paura di vincere, distruggendo ciò che abbiamo costruito. Ma siamo davvero disposti a perdere tutto?
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