![Recensione di Il sentiero dei figli orfani di Giovanni Capurso Recensione di Il sentiero dei figli orfani di Giovanni Capurso](https://www.leggereacolori.com/wp-content/uploads/2019/05/cover-il-sentiero-dei-figli-orfani.jpg)
Autore: Giovanni Capurso
Pubblicato da Alter Ego - Maggio 2019
Pagine: 204 - Genere: Romanzo di formazione
Formato disponibile: Brossura
Collana: Specchi
ISBN: 9788893331463
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“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” così scriveva Cesare Pavese in “La luna e i falò”, e proprio queste parole introducono l'interessante romanzo, uno spaccato di vita di uno dei tanti paesi d'Italia che Giovanni Capurso ci narra attraverso gli occhi di un ragazzino arguto e amante della lettura. Un viaggio intenso tra i ricordi nostalgici del giovane Savino, che partito lontano come seminarista si sente orfano della sua amata terra.
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Il sentiero dei figli orfani è un viaggio poetico e nostalgico che Giovanni Capurso abilmente ha tessuto con filo spesso e resistente, creando una ragnatela di ricordi molto affascinanti. In questo romanzo pubblicato da Alter Ego Edizioni possiamo percepire e conoscere la vera vita di paese, le emozioni, i cambiamenti, i colori vivi delle mura, come il rosso dei tetti delle case o il profumo pungente dei campi, il suono dei campani al collo delle bestie da pascolo, elementi che germogliano dentro il nostro cuore e mutano in uno strano mal di vivere che ci porta a non riconoscerci più, lontano dalla nostra terra nativa.
Savino Chieco il personaggio principale di questa storia, è l’allievo di un seminario ecclesiastico che sta per tornare al suo paese dopo aver salutato il suo padre spirituale. Il ragazzo poco prima di partire riflette attentamente su un bigliettino che ha ricevuto, una poesia di Emily Dickinson intitolata “il passato” che dice: “È una curiosa creatura il passato\ ed a guardarlo in viso\ si può approdare all’estasi\ o alla disperazione.\ Se qualcuno l’incontra disarmato, \ presto, gli grido, fuggi! \ Quelle sue munizioni arrugginite\ possono ancora uccidere!”
Ed è così che Savino si immerge profondamente nei ricordi di quando era ancora un piccolo ragazzino, nell’estate che più di tutte è rimasta incisa nella sua mente, un’estate passata a San Fele un piccolo paesino del sud Italia, con quasi tremila abitanti, situato nella provincia di Potenza, dove vive con i suoi genitori e frequenta il suo caro amico Radu, detto anche L’anguilla, perché gli piace nuotare nell’acqua e perché certe volte resta muto come i pesci. I due amici amano percorrere i lunghi sentieri di montagna del circondario, e spesso si ritrovano ad affrontare percorsi davvero pericolosi, a scalare massi aguzzi, ma nessuno di loro si tira mai indietro, come quando raggiungono le cascate di San Fele e si tuffano nelle acque gelide del laghetto.
«Oggi tocca a te» esclamò l’Anguilla. Rimanemmo in ascolto di quel fragore ininterrotto, poi ci avvicinammo alla superficie e ci sfilammo la maglietta. Più svelto avanzai nel laghetto gelido, mentre l’Anguilla con un gioco infantile scalciava scintille d’acqua alle mie spalle. Mi fermai quando vidi che l’acqua mi mulinava all’altezza della cintola e i piedi iniziavano a gelarsi. L’Anguilla da dietro mi scuoteva e mi solleticava. Io mi aggrappavo a lui per non dargliela vinta, finché all’ennesima spintarella mi lasciai cadere a peso morto con le braccia distese come ali. M’immersi battendo le gambe e puntai le dita sul fondale finché riuscii a trattenere il respiro. L’Anguilla mi seguì e ben presto demmo inizio a una gara a chi resisteva più a lungo in apnea. Nessuno dei due voleva cedere: scendemmo e risalimmo, tre, quattro volte e alla fine arrivammo a una lotta corpo a corpo con il torso oltre la superficie al centro di un ring tutto nostro. Nel tentativo di liberarmi dalla sua morsa scivolai, rovesciandomi di lato. Cercai allora di raggiungere il masso aguzzo che avevo davanti con qualche furiosa bracciata. L’acqua in quel punto era un po’ più profonda e perciò l’aggirai a nuoto, poi tirai su una gamba dopo l’altra. Da lì, mi arrampicai su un appiglio sicuro per raggiungere il punto più alto del ciglione, evitando il muschio scivoloso.
(Il sentiero dei figli orfani, pag. 13)
A turbare la spensieratezza di Savino nei capitoli successivi sarà la scoperta della morte dell’amata Nonna Giulia, in questa occasione il giovane imparerà cosa è la morte, qualcosa che nessuno gli aveva mai spiegato. Tra le pagine del libro colpisce la scena della madre che lo prende per un braccio e lo porta davanti al corpo della nonna, facendogli superare il confine della paura, come a segnare un passaggio importante della propria vita, il confronto con la dura realtà.
Giovanni Capurso descrive in maniera fluida e precisa le usanze e gli atteggiamenti dei paesani del luogo in occasione di questo lutto, come il riferimento dei panni di cotone bianchi che coprono gli specchi, un’usanza tramandata in molte parti del sud Italia, o la descrizione del corpo della defunta avvolta in un sudario di cotone simile ad una statua di sale. Il rispetto della famiglia e degli abitanti di San Fele per quel momento fragile fa molto riflettere oggi sull’importanza e il riconoscimento di un’identità comune, un senso civico che oggi tende a scomparire del tutto.
Ma ci sono altri personaggi degni di nota in questo romanzo, come Aldo il fratello maggiore, lo zio Gaetano il fratello minore della madre che spesso stuzzica il giovane con aneddoti e piccole lezioni ricorrenti, o Adamo lo straniero, un uomo misterioso che i due ragazzini conoscono per via delle commissioni che svolgo per il padre di Savino. Il padre del ragazzo è un uomo devoto, sempre impegnato nel suo lavoro al podere dove svolge tante mansioni importanti, ma tra le pagine del libro apprezzerete anche Miriam uno dei personaggi femminili di questa storia che avrà un ruolo nei capitoli finali di questa bella storia.
Approfondimento
Savino tra le prime righe di questa storia sta affrontando il suo rientro al paese dopo un seminario religioso, questo elemento della religione cristiana viene a galla anche in altri episodi e sembra un elemento cardine di questa storia. La nonna Giulia ogni sera leggeva un brano della bibbia a suo nipote, e la bibbia fa la sua comparsa nel primo incontro con il personaggio di Adamo (nome biblico del primo uomo) dove il piccolo ragazzino, dopo aver riconosciuto in quel libro “Antico e Nuovo Testamento” dice: «È stato zi’ Gaetano e mi ha detto che Dio è una parola che usano gli uomini per rendere più accettabile la vita». «Così dice?». «Lui in chiesa non ci va da quando si è fatto la Prima Comunione, a parte quando è morta nonna Giulia. Però si è seccato subito. Lei invece crede in Dio?» La curiosità disincantata di Savino verso l’uomo e la sua relazione con la fede, ha un qualcosa di profondamente umano, tutte queste vicende rappresentano soltanto il principio di un viaggio spirituale che presto lui stesso farà, peccato che nel libro questo argomento non è stato approfondito abbastanza, ma è solo un mio parere.
Il ritmo della storia è molto lento, ma tutte le descrizioni dei paesaggi, degli umori e dei meccanismi della vita di paese ci fanno conoscere un lato sconosciuto di alcune realtà italiane dei piccoli borghi, che come tutti i paesi del Mezzogiorno hanno subito i danni di una forte emigrazione. Non aspettatevi da questo libro colpi di scena eclatanti, ma lasciatevi prendere per mano da Giovanni Capurso, vi porterà tra quei sentieri di montagna incontaminati o tra i vicoli del centro storico per parlarvi di qualche figlio orfano della nostra terra, dopo tutto, chi non si è mai sentito orfano di un posto che ha segnato la propria adolescenza per sempre?