Autore: Azad Cudi
Pubblicato da Longanesi - Maggio 2019
Pagine: 303 - Genere: Non fiction
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Il Cammeo
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Da oggi in libreria Nel mirino, il romanzo di Azad Cudi edito Longanesi. Nel mirino è il racconto dei nove mesi di battaglia tra i ribelli curdi e lo Stato islamico, un viaggio straziante che rivela anche il ruolo essenziale dei cecchini che hanno portato alla sconfitta dell’ISIS.
Intessendo gli eventi brutali della guerra con riflessioni personali e descrizioni di aspetti poco noti della cultura curda, Azad Cudi medita sul prezzo incalcolabile della vittoria, pagato pur di tenere accesa la fiaccola della libertà.
Nel 2011, quando in Siria scoppiò la guerra civile, i curdi del nord si ribellarono e cercarono di liberare la loro terra natale da secoli di repressione fondando uno Stato progressista che chiamarono Rojava. Per la mentalità medievale dell’ISIS, quel rifugio di pace e democrazia – fondato su parità dei sessi e femminismo, laicità e tolleranza – nato proprio ai confini del suo nuovo califfato fu un affronto e, per schiacciare la rivolta, ammassò al confine dodicimila uomini, carri armati e schiere di attentatori suicidi. Contro questa imponente armata combatterono appena 2500 volontari – uomini e donne – muniti di fucili vecchi di quarant’anni: Azad Cudi era uno di loro.
Nel 2002 Azad è un ragazzo curdo-iraniano di diciannove anni costretto al servizio militare nell’esercito iraniano. Rifiutandosi di combattere contro i suoi fratelli curdi, decide di disertare e fugge nel Regno Unito, dove chiede asilo, impara l’inglese e ottiene la cittadinanza.
Dopo circa un decennio, quando esplode la guerra civile in Siria, Azad torna in Medio Oriente come volontario in missioni umanitarie. Nell’autunno 2014, dopo soli ventun giorni di addestramento, diventa uno dei diciassette tiratori scelti schierati dai curdi per difendere dall’attacco dell’ISIS la città di Kobane, nella regione autonoma curda del Rojava.
Ho avuto molti nomi: Sora, da ragazzo, in Kurdistan, Darren, sul passaporto britannico, ma il mio nome da cecchino era Azad, che significa ‘libero’ o ‘libertà’ in lingua curda. Durante la guerra quel nome mi rammentava un detto curdo: l’albero della libertà è innaffiato con il sangue. È un proverbio che parla di sacrificio per una buona causa, di come la libertà non venga mai concessa facilmente, ma richieda una lotta lunga e dolorosa. Un giorno, forse, grazie agli uomini e alle donne che hanno combattuto e sono morti, vivremo in un mondo di pace, uguaglianza e dignità,
ci disseteremo alle sorgenti di montagna e coglieremo le more dagli alberi di gelso. Kobane, però, non era quel mondo. A Kobane abbiamo perduto migliaia di uomini, e ne abbiamo uccisi migliaia, ed è così che, abbeverando goccia a goccia il suolo della nostra patria, abbiamo nutrito e cresciuto la nostra libertà.