Scoperto un papiro egiziano del III sec. d.C. ad opera di un professore dell’Università di Oxford, noto papirologo, Dirk Obbink; il ritrovamento aggiunge elementi significativi alla conoscenza lacunosa di Saffo la più famosa poetessa dell’antichità, e si aggiunge ai papiri di Ossirinco, che contengono gran parte della produzione letteraria della stessa, redatta in molte edizioni , tra cui la più famosa quella di Oxford, curata dai filologi Lobel e Page. Uno dei due frammenti è una lirica dedicata alla dea Afrodite, che si va ad aggiungere al fr. 1 L.P., la più celebre ode dell’antichità, in cui la Poetessa di Lesbo si rivolge alla dea Afrodite rivelandole i suoi tormenti di amore e chiedendole aiuto (siimi alleata!). La dea prontamente risponde e , abbandonata la casa del padre, con ricco stormo di passeri, scende sulla terra a tutelare la sua sacerdotessa , ricordandole che c’è un patto in amore, lo stesso ripreso da Dante “amor che a nullo amato amar perdona”, quindi la rassicura e le confida che certamente la fanciulla (Anattoria?)la corrisponderà. L’ode , pervenutaci per intero, ci rivela che Saffo era la sacerdotessa di Afrodite; aveva infatti un tempio a lei dedicato nel suo tiaso, educandato per giovani fanciulle che si sarebbero avviate al matrimonio. Lo frequentavano per apprendere le belle arti per divenire donne: danza, canto, recitazione, amore.
Saffo non di rado se ne innamorava e si struggeva di passione quando esse abbandonavano il tìaso per convolare a giuste notte, come si desume dal fr. 31 L. P., noto come l’Ode della gelosia , espressione poetica altissima della sindrome amorosa. Il fr.,come noto, ha ispirato il carmen 51 di Catullo. I nove versi contenuti nel papiro recentemente scoperto corroborano l’ipotesi di Saffo come sacerdotessa di Afrodite, da lei scelta per le sue indubbie capacità amorose e poetiche che ne fanno una leggenda, celebrata anche dal poeta di Mitilene Alceo: “ Saffo, dolce sorriso, dai capelli viola”. La poesia in Saffo rifulge nella sua eternità, essa sola salva dall’orrido abisso della morte e accosta al Pantheon degli dei. Vita non facile tuttavia quella di Saffo, spesso non corrisposta in amore, forse per il suo aspetto non proprio piacevole, forse perché era comunque abitudine per le fanciulle sposarsi e abbandonare l’amore lesbico/saffico, che veniva in Grecia considerato come un rito di transizione verso l’eterosessualità. La leggenda racconta che si sia suicidata per un amore non corrisposto verso un fanciullo, segno della poliedricità e complessità di questa donna, di cui ancora si sa poco, stante la condizione frammentaria dei suoi scritti in gran parte dispersi. La fama arrivò fino a Leopardi che gli dedicò L’ultimo canto di Saffo, dove si pone in relazione l’aspetto fisico della poetessa con quello del gobbo di Recanati e ritorna il binomio romantico amore-morte, tanto che ella si dà la morte, gettandosi da una rupe per amore non corrisposto.
Saffo soffrì anche per via della sua famiglia di origine, come si desume da un frammento noto, cui ora si aggiunge quello dell’attuale ritrovamento: qui si fa riferimento ai fratelli Charaxos e Larichos, citati per la prima volta nelle sue opere; si mostra trepida per il destino di Charaxos, imbarcatosi per mare senza fare ritorno. Sappiamo da un altro frammento che egli si recò in Egitto inseguendo l’amore per una prostituta Rhodopis; abbandonata la sua attività di commerciante, aveva dilapidato il cospicuo patrimonio familiare.
La famiglia di Saffo, difatti, era nobile e ricca, tanto da permettersi la fondazione di un tìaso per fanciulle aristocratiche, ma pare che anche l’altro fratello le desse da pensare, se nel fr. ritrovato Saffo lo invita a “ diventare finalmente uomo”, il che per i Greci significa adulto e responsabile, lavoratore e padre di famiglia. Perché,se è vero che in Grecia era ammessa l’omosessualità, questa doveva essere circoscritta ad una fase della vita precedente ai trenta anni; poi testa a posto e matrimonio!
Il ritrovamento ha generato giustissimo entusiasmo tra i filologi e i grecofili, perché, mentre corrobora la tesi della poetessa come sacerdotessa della dea Afrodite, ci dà notizie sulla sua difficile vita familiare, facendo riferimenti ai fratelli, mai citati per nomi nei restanti frammenti pervenutici.