A freddo, dopo mesi di polemiche non oziose intorno al Premio Strega e al favorito di quest’anno Francesco Piccolo con il libro Il desiderio di essere come tutti, Einaudi 2014, voglio fare qualche personale riflessione sul libro in oggetto e sulla modalità di attribuzione del Premio. Inutile ricordare i dati storici sul premio stesso promosso dalla Fondazioni Bellonci unitamente al proprietari dell’industria del liquore Strega, perché tutti questi dati sono reperibili sul web. Certo che esso, nato nel dopoguerra, ha dato una svolta significativa al grigiore in cui versava l’Italia messa in ginocchio dal recente conflitto, riconoscendo valore ad alcuni grandissimi, come Ennio Flaviano, Vincenzo Cardarelli, Cesare Pavese, Corrado Alvaro, Alberto Moravia, Massimo Bontempelli, Mario Soldati, Giorgio Bassani, Elsa Morante, Giuseppe Tomasi di Lampedusa , Carlo Cassola, Natalia Ginsburg…e tanti altri che sono tra le voci più significative d’Italia, conosciute in tutto il mondo e tradotte in moltissime lingue. Libri capitali che si leggono a scuola come classici, almeno io li ho letti tutti al liceo classico negli anni 70/80. Quando però a vincere il premio è la stessa Bellonci nel 1986 con un libro Mondadori è ovvio che il premio comincia a perdere di credibilità e rivela gli oscuri giochi di potere tra le grandi case editrici che premono per l’attribuzione del riconoscimento più importante d’Italia. Trovo veramente risibile che la stessa Bellonci abbia partecipato alla competizione con vittoria sicura e scontata. Risibile e scorretto, direi.
E che dire poi della vittoria di Paolo Giordano con La solitudine dei numeri primi nel 2008. Un esordiente della casa Mondadori vince con un libro di limitato valore, pompato ad arte, che si è rivelato a distanza di anni un autentico flop e un autogol del premio stesso. E’ ormai manifesto che c’è una rotazione delle C. E. più importanti nell’attribuzione del premio e che per quest’anno avrebbe vinto Einuadi: punto! I lettori in Italia sono pochi, come è noto, ma la vittoria allo Strega innalza le vendite in modo esponenziale, anche se poi magari il libro non viene di fatto letto, ma certamente acquistato. Il libro di Piccolo che io ho letto ha indubbiamente delle qualità da riconoscere: la capacità di intrecciare la storia personale con quella del mondo, la necessità tutta umana di essere un essere sociale, oltre l’hortus conclusus della propria famiglia. É un libro sulla percezione di Piccolo di sé come individuo e come animale sociale. A nove anni, lui che viveva vicino alla Reggia di Caserta, nel silenzio della solitudine scopre di esistere: “percepì che quella vastità, fino ad allora soltanto una “cosa enorme” vicino casa, era stata abitata e visitata da moltitudini”. L’incipit mi è parso debole e prosaico e se penso al grande Pavese che vinceva nel 1950 il confronto non regge affatto e nemmeno con la Mazzantini che col libro Non ti muovere ha creato un nuovo genere narrativo di una intensità stupefacente, sebbene sappia con certezza che un grande libro oggi è il risultato di un lavoro di equipe, di un editing profondo e non sia attribuibile nella sua interezza al singolo scrittore.
Tant’è così va il mondo nel XXI sec.; io che sono in contatto quotidiano con le case editrici so che spesso gli scrittori (non è il caso della Mazzantini!) scrivono solo il canovaccio della storia, gli editor il testo (si vedano i casi eclatanti di Moccia e di Volo). Dicevo di Piccolo: a parte l’incipit debole (e non è poco) il testo è una collana di percezioni legate ad avvenimenti esterni che gli indicano di far parte di un mondo e gli instillano il desiderio di essere come tutti. Tutti: scritto a caratteri rossi e cubitali sulla cover, già fa molto riflettere; dopo la consapevolezza conseguita da Freud, Pirandello, Svevo, Baudelaire e chi più ne ha ne metta, che significa essere come TUTTI, quando ciascuno di noi è un essere unico e irripetibile, un risultato misterioso di psiche e DNA? Avrei quindi molto da dire sul titolo stesso; che fine ha fatto la lezione pirandelliana di Uno, Nessuno, Centomila? In un’epoca di nichilismo dominante, dope abbiamo perso il senso dell’esistenza e la bussola di orientamento, lacerati da conflitti interni ed esterni, soli, derelitti e pure poveri, frammentati , con lo strapotere di uno Stato che ci tiranneggia e con la decerebrazione della scuola e della famiglia dove andiamo a pescare questo senso di condivisione e di appartenenza sì da desiderare di essere come TUTTI?
Quindi, direi che osservazioni critiche sensate ce ne sono , ciò non toglie che Piccolo non è un pivello della prima ora, ma, navigato scrittore, riesce a cucire con abilità la sua evoluzione e formazione di individuo con la storia: l’epidemia di colera a Napoli, il terremoto dell’Irpinia, la condanna della Loren per evasione fiscale. Crescendo capisce che certa superficialità degli adulti risponde all’esigenza autoconservativa di conseguire la felicità, con una domanda di fondo si può essere infelici quanto intorno tutti sono felici? Essere felici oggi sembra un obbligo, una mascherata, una scelta convenzionale e allora non guasterebbe certo una lettura o una rilettura della Lettera a Meneceo di Epicuro e il De vita beata di Seneca, per scoprire che la felicità, se c’è, viene da qualcosa di intrinseco e non di estrinseco. In altri termini che felicità c’è a vincere un premio quando si sa di essere il favorito, quando si è al centro delle polemiche, quando si è guardati con sospetti, quando si è parte di una lobby? Stressato è apparso Piccolo il giorno della premiazione, felice che l’avventura fosse finita, sinceramente (?) dispiaciuto per l’amico Scurati che con uno scarto di cinque punti è arrivato secondo, dopo essere stato silurato per un sol punto nel 2009. Doppiamente sconfitto e accusato di auto plagio.
Vero: ha copiato se stesso, come ha scoperto la rivista Satisfiction di Gian Paolo Serino e la Federconsumatori ha chiesto alla Fondazione Bellonci di fare chiarezza, anche perché ne faceva parte fino all’anno scorso la stessa moglie di Piccolo. Lo stesso Michele Serra che si è ritirato dalla competizione per far vincere Piccolo, ha ammesso che è stato invitato a far parte del comitato Amici della Domenica con la precisazione che non c’è obbligo di lettura dei libri. Tutto questo non è bastato ad evitare che Piccolo vincesse, ma ha smosso le acque e lo stesso presidente del Premio si è impegnato a sottrarre la competizione al gioco ormai scoperto dell’alternanza delle case editrici. Il prossimo anno toccherebbe alla Bompiani: staremo a vedere. Per esperienza personale so che i libri non vengono letti; interrogato a bruciapelo da me un lettore della domenica, ha dichiarato di non conoscere il libro di una scrittrice che è rientrata nella selezione dei dodici.
Ma nutro speranze che qualcosa cambi, perché il primo Premio Strega Europeo proprio di quest´anno è stato attribuito ad uno spagnolo tradotto in Italia da una casa editrice piccola, ma molto interessante: Elliot (con “Il tempo della vita” di Marcos Giralt Torrente). Quello che invece mi preoccupa di più è la mentalità che si è diffusa anche tra piccoli premi di emergenti che nascono come funghi, in cui i giurati sono spesso gli stessi e i vincitori pure; ora accade che i partecipanti siano amici dei giurati anche intimi e che stia nascendo una rete pericolosa di emergenti che si sostengono e si affossano a vicenda con assegnazioni di premi fantasma e recensioni negative che incidono molto sul insuccesso del libro. Da insegnante dico: ancora a noi il compito di dare a Cesare quel che di Cesare, di ridare valore all’essere, svalorizzando lo spirito stoltamente competitivo , instillando amore autentico per il sapere, specie per la letteratura, la filosofia, la poesia, oggi meretrici dei concorsi.