Vi piace la primavera? Domanda quasi scontata, i mesi della rinascita nella natura, dei colori e dei profumi sono bellissimi. Avete mai pensato ai libri della primavera? Incuriositi dall´hashtag #SpringBook proposto da Longanesi utilissimo per scoprire decine di libri che parlano e sanno di primavera, che la sfiorano, la cullano, la perpetuano, abbiamo aperto libri che giá centinaia di anni fa parlavano della primavera e ce la facevano vivere. Ecco una lista di quelli che abbiamo selezionato sperando che riescano ad incuriosirvi e la cui lettura vi possa colorare!
L’immagine della primavera nella letteratura si colloca su più piani di lettura e affonda le sue radici nella tradizione più antica; occorre pertanto limitare il percorso alla letteratura di Occidente, benché l’Oriente abbia lungamente riflettuto sul tema e, per dirla in breve, è la stagione nella quale si colloca il giusto mezzo tra le diverse stagioni dell’anno, quella in cui si trova un punto di incontro tra il caldo e il freddo, l’umido e il secco, e di questo clima gode la zona ionica dell’Anatolia, che è la terra di mezzo felice tra la Doride e l’Eolide. Ma qui ci spostiamo su di un piano di riflessione soprattutto filosofico e geografico e dovremmo attingere a testi come quello di Ecateo di Mileto (Ionico) o di Aristagora (Ionico) e ai primi filosofici presocratici che cercavano l’archè di tutte le cose.
Rimanendo nella letteratura d’Occidente, il pensiero corre veloce ad Omero nel VI canto dell’Iliade nel passo del celeberrimo incontro tra Glauco e Diomede, che pur nemici, si scambiano le armi in quanto si scoprono legati da antichi rapporti di ospitalità (Xènia). Ora, si deve sapere che l’ospitalità era sacra presso i Greci e che questa legava le stirpi degli uomini in un sacro vincolo che si protraeva in eterno di generazione in generazione. La storia dell’uomo però nulla era rispetto a quella dell’Universo; la prima riflessione filosofica in tal senso la troviamo nelle risposta di Glauco a Diomede, quando costui gli chiede di delineare la storia della sua stirpe. Quindi il ghènos ( la stirpe) è sacro per i Greci come lo è il vincolo dell’ospitalità, ma tiranno è il Tempo che tutto trascina rovinosamente; il rito dell’ospitalità è un tentativo di perpetuare la memoria della specie umana legandola in rapporti di fraternità. Di qui le celebri parole di Glauco:
“A lui disse a sua volta il fulgido
Figlio di Ippoloco,
“Tidide magnanimo,perché
Domandi la stirpe?
Quale è la stirpe delle foglie,tale è
Quella degli uomini.
Le foglie alcune il vento le spargea
Terra ,altre la selva
Rigogliosa le fa nascere,e giunge la
Stagione di primavera;
così la stirpe degli uomini, una
nasce,una si spegne.
Ma se vuoi sapere anche questo per
Conoscere bene
La nostra stirpe, essa a molti uomini
È nota:…
Passo fondamentale dell’opera, che si trova proprio ad un suo quarto ed è il primo momento in cui la narrazione della guerra si interrompe per lasciare uno spazio di meditazione sulla condizione dell’uomo, che diventa tòpos letterario ripreso dalla letteratura successiva. La storia delle stirpi è tanto fragile quanto quella delle foglie che seguono il corso delle stagioni: in autunno cadono a terra, per rinascere rigogliose nella stagione della primavera; parimenti le stirpi. Ci troviamo di fronte alla più celebre similitudine della letteratura di Occidente, riveduta e corretta dal poeta elegiaco greco Mimermo nel fr. 8 Gentili:
Come le foglie che fa germogliare la stagione di primavera
ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole,
noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo
i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo
dagli dèi. Oscure sono già vicine le Kere,
l’una avendo il termine della penosa vecchiaia,
l’altra della morte. Breve vita ha il frutto
della giovinezza, come la luce del sole che si irradia sulla terra.
E quando questa stagione è trascorsa,
subito allora è meglio la morte che vivere.
Molti mali giungono nell’animo: a volte, il patrimonio
si consuma, e seguono i dolorosi effetti della povertà;
sente un altro la mancanza di figli,
e con questo rimpianto scende all’Ade sotterra;
un altro ha una malattia che spezza l’animo. Non v’è
un uomo al quale Zeus non dia molti mali.
Elegia pervenutaci per intero in cui si pone in relazione la durata della rigogliosa primavera con la giovinezza fiorita, dopo di che morbo, vecchiaia, morte, fondando quel pessimismo cosmico che verrà ripreso da Leopardi. Ecco che, come dicevo all’inizio, la primavera ha più piani di lettura ed è topicamente metafora delle illusioni della giovinezza che l’età più matura tradisce. Immediato il confronto con l’idillio A Silvia di Leopardi:
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d’intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Poesia insuperabile per la sua atmosfera struggente, in cui il mese di Maggio, apice della primavera, coincide con la coltivazione nel petto degli adolescenti del loro mondo illusorio destinato a cadere rovinosamente all’ “apparir del vero”. In una visione più ampia, la primavera coincide con la fase più felice dell’umanità, idealizzata come una sorta di Eden, precedente al peccato originale , quando gli uomini erano tutt’uno con la Natura che, generosa e fertile, distribuiva a piene mani i suoi frutti senza chiedere nulla in cambio. Poi la nascita del peccato e la conseguente condanna che proviene dalla ragione. La primavera è anche la stagione nella quale vivono gli dei; si veda ad esempio Il. Libro VI, vv. 150 ss.
La Dea, che guarda con azzurre luci,
All’Olimpo tornò, tornò alla ferma
De’ sempiterni Dei sede tranquilla,
Che nè i venti commuovono, nè bagna
La pioggia mai, nè mai la neve ingombra;
Ma un seren puro vi si spande sopra
Da nube alcuna non offeso, e un vivo
Candido lume la circonda, in cui
Si giocondan mai sempre i Dii beati.
Qui la dea Atena, scesa dall’Olimpo per instillare in Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dei Feaci, il desiderio dello sposo, compiuta la missione, risale in questa dimensione atemporale che coincide con un’infinita primavera. Questa è anche la stagione che caratterizza tutti i loca amoena della letteratura; anche i Feaci, abitanti di Scheria, Isola dei Beati, godono di tutte le bellezze della primavera: hanno navi senza timoni che scorrazzano tranquillamente nel mare, mentre la natura fiorisce prodiga di ogni bene fuori dal tempo Ma esiste una dea della primavera? Certamente, sì, ed è Afrodite, l’alma Venus del De Rerum Natura di Lucrezio , che si apre con l’Inno a Venere che porta la vita, rendendo fertili i campi e feconde le donne. Ovviamente, in quanto dea dell’amore, coincide con la primavera, con il risveglio dei sensi e della natura tutta: vv. 1 -49:
Genitrice degli Eneadi, piacere degli uomini e degli dei, Venere alma, che sotto i mobili astri del cielo rendi popolosi il mare sparso di navi, e le terre che producono messi, perché per causa tua tutte le stirpi di esseri umani vengono concepite, e nate, vedono la luce del sole: al tuo passaggio dea fuggono le nubi del cielo e il vento,per te la terra che opera meraviglie si riempe di fiori soavi, per te sorridono le distese del mare, ed il cielo rasserenato risplende di luce diffusa. Infatti, non appena si è rivelato l’aspetto primaverile del giorno, e il soffio vitale del favonio, liberato, prende vigore, per primi gli uccelli del cielo annunciano te e il tuo arrivo, o dea, colpiti nel cuore dalla tua forza. Poi fiere e armenti balzano sui pascoli, e attraversano i fiumi impetuosi: così, conquistati dalla tua grazia, ti seguono ovunque desideri condurli. Infine nei mari, sui monti, nei fiumi travolgenti, nelle frondose dimore degli uccelli. Ci troviamo davanti alla più famosa celebrazione della primavera che ha tutte le caratteristiche dei loca amoena, Eden in primis.
Una Venere simile la troviamo nel sonetto A Zacinto di U. Foscolo, in cui Venere rende feconde le isole del mar greco col suo primo sorriso ed è sempre portatrice di vita coincidente con la stagione fiorita di primavera:
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque …
Dove il primo sorriso di Venere coincide col ritorno ovvio della primavera e con la risalita dagli Inferi di Proserpina, rapita da Plutone e restituita alla madre a patto che sia sei mesi nell’Ade e sei mesi sulla terra. Che la primavera coincida con i risvegliarsi dell’amore, con le sue gioie e i suoi tormenti si desume anche dalla lettura dello Jacopo Ortis di Foscolo, specie nelle lettere del 14/15 maggio, dove questa si risveglia per breve tratto dopo il bacio dell’amata Teresa, promessa sposa ad Edoardo. Benché l’esito della vicenda sia notoriamente negativo, Jacopo assapora per breve tratto tutto il fulgore della stagione d’amore descritta con tratti che richiamano molto l’inno a Venere di Lucrezio. Quindi si può senza dubbio desumere che la letteratura europea è stata profondamente condizionata dal modo in cui la primavera viene tratteggiata e cantata nella cultura classica. A questo modello ovviamente non si sottrae Dante Alighieri nei canti XXVIII/XXX del Purgatorio, alla cui primavera si è ispirato nientemeno che Botticelli in questo passo in particolare che è la parte conclusiva di una più estesa descrizione, in cui si fa riferimento anche alla dea Proserpina, cui ho sopra accennato.
E vidi lume in forma di rivera
fluvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscían faville vive,
e d’ogni parte si mettíen ne’ fiori,
quasi rubin che oro circunscrive.
(PARADISO – CANTO TRENTESIMO vv. 61 e segg.).
Fin qui abbiamo parlato della primavera come riscoperta della natura e dei sensi; se vogliamo trovare una diversa percezione di questa stagione ci dobbiamo spostare in Germania con H. Hesse , il cui il famoso risveglio di Siddharta avviene proprio in questa stagione ed è di carattere mentale e spirituale, risultato di una ricerca interiore (der dasein) faticosa e audace, radicalmente influenzata dalla filosofia orientale: “mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta”.