Giulio Matreschi, pittore, ricoverato in una casa di riposo, racconta la sua vita a Goffredo, presentatosi come impiegato delle poste, che è andato a trovarlo per consegnargli una lettera giunta a destinazione con un ritardo di cinquant’anni. È la lettera di Clara, l’unica donna che il pittore abbia mai amato e che, se ricevuta nel 1939, avrebbe potuto cambiare la sua vita. Alla vicenda si intreccia la simpatia che nasce tra Goffredo e Yvonne, infermiera della casa di riposo. Le storie dei tre protagonisti si legano nella cognizione che l’Amore non è mai sprecato, ma trova il modo di esprimersi anche a distanza di decenni. Amore che riesce ad abbracciare le loro esistenze, in bilico e sempre alla ricerca di un equilibrio pur nella consapevolezza della sua inconfutabile precarietà.
Estratto
Feci quel tragitto in automobile e, percorrere un bel tratto dell’autostrada A1, inaugurata da pochi anni, mi risparmiò parecchie ore di fatica. Guidai la Fiat 850 bianca che condividevo con Edvige. In realtà l’auto era sua. Non era un modello di lusso, ma aveva una fiammante autoradio, uno dei primi modelli della Voxon, che mi fece tanta compagnia.
[…]
Nell’estate del 1974, senza essere alimentato da entusiasmo e passione, il rapporto con la nobildonna si esaurì come la cera di una candela.
A quel punto dovetti cedere l’attività, non più florida e redditizia come qualche anno prima, a una nipote della donna. La casa la lasciai a Edvige: non erano i soldi che mi interessavano.
Avevo deciso che la mia vita era là fuori… in piazza, in strada. In fondo al mio cuore mi ero sempre sentito un artista avventuriero, un romantico artigiano di matita e pennelli. Con in tasca i 20 milioni ricavati dalla cessione della galleria d’arte e tanto entusiasmo, magari insolito in un 67enne, partii. Trascorsi un paio d’anni a Piazza del Campo a Siena, città che adoravo. Nel 1978, infine, approdai a Montmartre distante soli pochi metri da dove mi trovo ora a raccontarti la mia lunga vita. Bel posto per vivere Parigi. Credimi. Il clima è un po’ più rigido e piovoso di Roma, ma ci si abitua a tutto figuriamoci a un paio di gradi in meno e a qualche goccia di pioggia in più.
E poi la vista della facciata del Sacro Cuore o della cattedrale di Notre Dame, una passeggiata per i Campi Elisi o un caffè sotto la Torre, sono fonti di ispirazione continua.
Non posso affermare che non ho mai ripensato con dolcezza a Clara o che sono riuscito a dimenticarla per lunghi periodi, però posso dirti che sono felice di conservare di lei il ricordo che ho».
Dopo una breve pausa Giulio accenna in falsetto la strofa di una canzone:
«Lontano lontano nel tempo
qualche cosa negli occhi di un altro
ti farà ripensare ai miei occhi
i miei occhi che t’amavano tanto.
No. Non ho mai dimenticato quegli occhi».
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(il primo alle pagine non indispensabile ma molto gradito)