Una notte che sa di termosifone, di luce che passa dagli spifferi, e di porte semi aperte. Per pensare. Uguale e diversa a centomila altre notti. Come ci spendiamo, come ci affanniamo, come ci consumiamo, come ci buttiamo su questa vita…e poi quello che riceviamo è il risultato di questo..correre..ricercare…senza aver fatto prima il punto della situazione. Punti, li puoi unire sul bianco, e farti la figura di come la vedi, questa vita. Prendi lo spettacolo. Hai presente quell’agglomerato di cose che ti propongono come divertenti, utili, necessarie, da diventare, da comprare? A tutti i costi. Ti farai un mazzo per avere un sedicesimo di quelle cose, e non avrai ancora niente, e non sarai contento perché mentre le avrai saranno già vecchie. Prendi la religione. Hai preso la cosa più sporca di sangue del mondo. Che toglie più libertà di qualsiasi altra cosa. La casa di chi nasconde cose indicibili. Che non si sarebbero mai dovuto permettere.
Prendi la politica. La vedi la colla sottile che tiene attaccata la gente ad altra gente, colla sottile di accordi, per soldi, favori, potere prestato, reso, dovuto? L’uomo che vuole dire ad un altro uomo cosa deve fare senza sapere cosa sia perfino migliore per lui. Catastrofico. Disarmante. E c’è chi davvero crede..davvero spera…come se i secoli non siano serviti. Come se il tempo non conti. Prendi il commercio. Conta quanto cibo viene smaltito piuttosto che smistato agli indigenti per puri meccanismi economici. Le strette di mani bugiarde. Ci hanno insegnato a fare le cose solo quando ci convengono. Prendi l’amore. Non si capisce più come deve essere vissuto. Il sano rispetto per l’amore, esiste? Poi arrivo alla lontananza. I metri su metri che separano vite da altre. E non vogliamo. E resistiamo. Fra lo stupore di ritrovarci insieme una volta di più, a braccetto, a camminare per delle città indiavolate.
Eppure non tutte le distanze sono di metri. C’è chi senti vicino, dietro l’angolo del cuore. Quello che immagini ridere coi colleghi. Quando senti ancora il suo profumo sulla giacca nelle giornate di primavera fatte di sole. Quello che immagini mentre si lascia andare sul divano dopo una giornata stanca. Un cappotto rosso e un cappello perso a Bologna in un treno, rosso che dava vita alle foto. C’è che ogni giorno dobbiamo andare e rendere conto a qualcuno e a volte a noi stessi. Ma non sempre lo facciamo. E ci separano millimetri dalle persone più belle e non le vediamo, dobbiamo andare a cercarci i chilometri, per dare un senso ai rapporti. Per sentirci bene le poche volte che riusciamo a vedere le persone care. Siamo su uno spettacolo. E facciamo tutti alla stessa maniera, perché così abbiam visto fare. Nel bene e nel male. A cercare “la dolcezza che alla fine ti salva” da tenere un po’ più vicina del resto. Allora dalle porte scorrevoli del cuore facciamo passare un po’ di persone, tutte sperando siano quelle giuste. Quelle che ci salvino. E puntualmente non ci salviamo. Condividiamo gli stessi dolori e le stesse gioie per un po’.
Poi sentiamo l’apatia degli altri, sentiamo che quel che c’era non c’è più, e forse non era così importante come si era detto. Una frenata. Una sbandata. La notte. Forse non ci parliamo più. O ci parliamo con cattiveria. Ci evitiamo. Siamo soli, di nuovo, per quanto? Non è così importante conoscere la risposta forse. Se ci si sta ancora chiedendo cosa sia davvero l’amore. Metri su metri. E manca un sorriso, un cuore appeso al collo, una copertina nel bel mezzo di una grande città. Quella fiducia di sapere che ovunque sarai, sarai pensato. Sarai preso per ciò che sei. Sarai voluto bene nelle piccole cose. Quei grandi interrogativi su che faccia farei, cosa direi, su che scarpe metterei. Per lui, per lei. Mentre siamo qui. A viverci. Prendi lo spettacolo, la nostra vita è una tragicommedia. Prendi la religione la politica e il commercio, è felice di prenderli in mano solo chi ci guadagna e ha già le mani sporche. Prendi l’amore. O quel che resta. Forse è a metri su metri. E forse per un po’ sogni.