Ho perso il coltello in mezzo ai denti. Porto a spasso tutti i denti ancora sani. I fiori per la casa nei vasi. Non scrivo tanto in questo periodo. Ma la sorgente non si è prosciugata, ho solo chiuso il rubinetto. Per non dire esattamente chi sono a chi non serve. Anche per chi ha sempre pensato di saperlo. Io sono definitivamente mio. E un po’ di tanti. E dormo col martello sul comodino. Pianto ancora i chiodi su pareti nuove. Non ho ancora tolto tutto dalle scatole mentre vedo una casa prendere forma. Spero ancora, sempre. Meno forte, meno tanto, meno il tanto di un soffio. Luce. Buio. Luce, buio. E non mi specchio, non mi guardo tanto. Cosa devo spiegarmi? Le piccole vertigini arrivano. Alcune passano. Altre restano per sempre. E qualsiasi cosa dico: “Fabio è innamorato”.
Ancora non lo sapevate? Da sempre, per sempre. Perché ve l’ho già detto che io sono definitivamente mio. Ma un po’ di tanti. E a quei tanti che restano vanno i grazie. Le fatiche servono. Anche le valigie. Ed i treni presi. Il trucco da guancia a guancia. Il buffetto sulla guancia che sta al posto del “forza”. E l’aria manca a tratti come ad ogni uomo che si rispetti. E devono venire a togliertela. Altrimenti saresti un extraterrestre, perfetto e felice, e vivresti solo dentro una Tv. E le esplosioni di gioia si possono ricordare. Si possono appendere come quadri al posto nostro. Si possono infilare nel portafoglio insieme alla nostra foto senza tempo. Scricchiolo. La chitarra distorce dove deve. Noi siamo un sogno carezzato insperato. Se esistiamo. Luce. Buio. Luce, buio. Aspettaci ancora o buttaci via. Niente cambierà i sogni. Presi e portati all’assurdo della gioia possibile.