Si alza da tavola con ancora un po’ di appetito Giulia, ma quando l’anima è già sazia succede che anche il corpo la assecondi. Non si è mai sentita tanto leggera in vita sua, come sospesa; in quello stato di semigrazia, nulla la può sfiorare, né, tantomeno, imprigionare. Si è spezzato quel meccanismo compulsivo che faceva resistenza alla vita, quel voler possedere le cose, come le persone ed ora si sente sollevata, libera da qualsiasi dipendenza.
Non c’è alcun bisogno di possedere le cose per capirle, si può afferrarle solo col pensiero, senza dovervisi attaccare morbosamente. Il cuore può battere anche se non si dispone di nulla, o forse, è proprio quando non si dispone di nulla che esso batte liberamente, all’impazzata; infatti, esso non batte mai per qualcuno, batte solo per se stessi: è il desiderio a scatenare palpiti e tremori. Pensiamo che l’amore scaturisca dall’incontro con l’altro, che sia la sua presenza a suscitare in noi delle emozioni, invece è una partita che giochiamo da soli.
Giulia riordina la cucina: apre i cassetti, vi ripone le stoviglie, poi lava rapidamente il piatto in cui ha mangiato, come quasi ogni sera, il solito cibo precotto. Si è sempre chiesta cosa si provi a mettersi con trepidazione ai fornelli; per lei il cibo è soltanto cibo, serve per sfamarsi, non prova alcun piacere nel mangiare. Giulia mangia solo quando il suo corpo le ricorda che deve nutrirsi. Cucinare dev’essere un modo per confrontarsi con la propria creatività, in fondo si mette la stessa cura, la stessa dedizione, la stessa abilità di quando si è in procinto di compiere una qualsiasi opera d’arte, ma Giulia non è una donna che ha manualità con la vita, lei si accontenta di viverle nella mente le esperienze, senza tradurle mai nella realtà, senza bisogno che altri leggano i suoi gestii e i suoi pensieri. Però, nonostante abbia sperimentato ben poche cose nella sua esistenza, si sente piena sino all’orlo; quando si è giovani non si dovrebbe provare quella voracità insaziabile nei confronti della vita? Forse questa saturazione precoce è una caratteristica del nostro tempo: si trangugia tutto in fretta perché si ha paura che la vita ci vinca, così tendiamo a consumarla selvaggiamente.
Giulia, a soli trent’anni, si sente satura di emozioni, non di esperienze, ma di stati d’animo; si sente di non poter più reggere altri turbamenti, altre eccitazioni e questo può capitare a qualsiasi età. Di solito, è ciò che si avverte in seguito ad un dolore; in quei frangenti, infatti, vorremmo annullarci nella nostra pena, disperderci nella disperazione.
Eppure, quando soffriamo, in noi si scatenano delle forze prepotenti, se solo ci sforzassimo di indirizzare tutte queste energie, anziché verso la nostra autocommiserazione, verso altri fini, potrebbe uscirne una strada nuova e forse anche qualcosa di buono. La realtà è evitabile ed inevitabile allo stesso tempo; come al solito, dipende da noi: nuotare o annegare, di questo si tratta.
C’è stato un tempo in cui a Giulia era parso di governarla quell’esistenza un po’ sfuggente, aveva un fidanzato a cui voleva bene e che ricambiava il suo affetto, un lavoro che le piaceva e una famiglia sufficientemente lontana da impedire una qualsiasi forma di controllo. È stato ad allora che ha assaporato la felicità. Ora, lontano da lui, lontano da quel periodo, si chiede se la sua fosse davvero felicità. Il più delle volte, infatti, questa si traduce nel rannicchiarsi vicino a qualcuno; per un po’ si rimane immobili, l’uno accanto all’altra, ad occhi chiusi, senza curarsi di ciò che scorre.
Il tempo non guarisce, però rischiara ed è molto meglio. Forse se pensassimo meno alla felicità, alla serenità, alla stabilità, alla tranquillità, vivremmo più insieme. Perché ci chiediamo continuamente se stiamo facendo la cosa giusta, se stiamo vivendo il rapporto giusto, il lavoro giusto? Non sarebbe meglio lasciare che gli altri siano un braccio tremante che, di tanto in tanto, ci sorregge? Non dovremmo permettere che tutto venga coperto dal fumo denso dell’aspettativa; in fondo, non sono gli altri a deluderci, sono le nostre pretese a farlo. Le donne, in particolare, non dovrebbero cedere alla tentazione, tipicamente femminile, di plasmare ciò che le circonda secondo le loro idee, così facendo rischiano di ubriacarsi di emozioni, per un momento sono euforiche, ma poi si sentono del tutto esaurite, esattamente come accade dopo una sbornia.
Ci dimentichiamo sempre che la vita presta, non regala; del resto, è questo il bello: non si può racchiudere la propria esistenza in poche formule e non la si può neppure descrivere perché nulla persiste, nemmeno noi stessi: si tratta di uno scambio, continuo e reciproco, di idee, opinioni, esperienze, e ad ogni scambio un piccolo lembo di un altro essere si insinua in noi, fino a che, non siamo più gli stessi.
Siamo gettati nel mondo, in balia del suo turbinare vorticoso, senza nulla e nessuno cui potersi aggrappare. Si è soli su questa terra. A volte pare che anche Dio si sia dimenticato di noi, ma non è un po’ egoistico desiderare Dio vicino a sé? Questa solitudine non è una condanna di Dio nei nostri confronti, questa solitudine è la nostra condizione più propria e non c’è davvero nulla di nichilistico o di deprimente in essa. È piuttosto una grande forza per noi stessi, sapere che tutto è nelle nostre mani, che gli altri non possono salvarci o annientarci. Tutto dipende da noi, ecco una bella realtà cui affidarsi – pensa Giulia, appoggiando la testa sul cuscino del divano.
Quando si giunge a verità come questa, non c’è alcuna ragione oggettiva a scatenarle: nessuna delusione o sconfitta, nessun lutto, nessuna conquista improvvisa, forse si approda a tali prese di coscienza semplicemente per afasia o per solitudine, la stessa che può scatenare la banalità del male o la solidarietà più sincera.
Sposta i suoi capelli dalla fronte e comincia a fissare il soffitto, così facendo le sembra di fissare anche la sua anima. È un periodo di povertà e di tormento. Fuori e dentro di sé non c’è che disperazione e smarrimento, privazioni su privazioni, ma la vita è intendere che prima di ogni conquista ci si rapporti con le proprie carenze, con le proprie insufficienze, poi ci sarà spazio per tutto il resto, anche per le gioie più grandi, se le sapremo accogliere, con la differenza che le sconfitte, molto spesso le subiamo involontariamente, mentre le vittorie occorre proprio costruirsele.
Giulia non è mai stata una ragazza coraggiosa e spavalda, ha sempre creduto fosse meglio pensare che accumulare esperienze, ma ora che non ha dimestichezza con la vita, il pensiero le sembra davvero poca cosa, una consolazione che non consola affatto. Giulia si dice che forse l’essenziale è davvero fuori del pensiero. Ci sono donne che si raccolgono così tanto in se stesse che finiscono col negare la realtà, col vivere in una dimensione solo interiore che fa quasi violenza alla vita, ma la vita, forse, non è nemmeno veramente nostra, fatta com’è di rapporti diversi. Gli stessi ricordi, in fondo, non rimandano a situazioni che molto spesso abbiamo vissuto e condiviso con altri?
In quel momento medita che un viaggio è ciò di cui ha bisogno, ciò di cui, probabilmente, hanno bisogno tutti, ma se non parte ora, quando lo farà. Ora ha le energie, la grinta e la curiosità per osservarlo ancora questo mondo stanco, ma quando sarà lei quella stanca, il mondo non le interesserà più e la sua esistenza si ridurrà al suo misero fazzolettino di realtà quotidiana. Non ha da parte molti soldi, trent’anni del resto sono pochi per aver accumulato risparmi ragguardevoli, Giulia, poi, non è mai stata una ragazza molto parsimoniosa, il denaro per lei si converte presto in montagne di libri e cataste di dischi. Ecco quello che conta nella vita: la musica e la letteratura, che altro ci può essere?
Giulia, all’improvviso, si ritrova a desiderarlo davvero quel viaggio e mentre pensa all’indomani, al suo futuro si addormenta. Nel sonno tutto ci sembra più semplice, a portata di mano, rifare la nostra vita, tra le tenebre della notte, non ci appare così impossibile e doloroso; nel sonno coviamo segreti che al mattino dimentichiamo perché la luce del giorno ci rende pavidi e insicuri. Forse si tratta solo di trasportare questa nostra leggerezza, questa capacità di iniziativa notturna nel nostro stato di veglia.
Il giorno seguente quando apre i suoi occhi cisposi è già mattina inoltrata. Da quando ha perso il suo lavoro alla libreria è come se si disperdesse nel sonno; non si desta che quando il suo corpo intorpidito decide che è ora di svegliare pigramente i sensi. Sbadiglia e discosta le coperte dal suo volto, quell’inverno freddo e piovoso proprio non vuole decidersi a mollare la presa.
Ha dormito sul divano, un’altra volta. Del resto distendersi sul letto le risulta ancora penoso: troppi ricordi; voltandosi, le capita di allungare il braccio e di cercare la sua schiena, ma lui non c’è, e da parecchio tempo ormai. Perché la mente e l’anima non sono più oggettive? Se solo potessimo accettare l’assenza di qualcuno come si accetta un mal di testa, non sarebbe più semplice risolvere i nostri guai? Tendiamo a scindere anima e corpo, eppure non sono due mondi inconciliabili. Il corpo, a differenza dell’anima, risponde a precisi meccanismi, a determinate leggi, l’anima, al contrario, è più indisciplinata, ma accade che quando questa non accetti una separazione, anche il corpo non si rassegni al distacco e mentre la razionalità dorme, il corpo prende il sopravvento e reagisce. Il punto è che l’assenza di una persona non è solo un’assenza particolare, specifica: se viene a mancare non è solo quella persona a sparire, è tutto un mondo ad andare in pezzi, si devono sciogliere tutti i nodi e i legami che ci avvinghiano a certe situazioni, a certe piccole abitudini.
Ancora oggi, a distanza di anni, le capita di notare le coppie per strada quando passeggia, ma non le coppie giovani, quelle non le fanno alcun effetto, sono le coppie di anziani a rammentarle di quando anche lei era innamorata; quando le nota si ricorda di quando le osservavano insieme e pensavano a come sarebbero stati loro da vecchi. La gioia può davvero farci soffrire: i momenti felici di ieri possono tramutarsi in una vera pena per il presente. Ma noi possiamo sempre lottare affinché nella vita ci sia posto per altro, per i bei sogni, ad esempio.
Un’altra giornata comincia, ma questa non sarà una giornata come tutte le altre. Questa è la mattina destinata ad un nuovo inizio, la mattina in cui si metterà in viaggio, senza dirlo a nessuno; non ha poi molte persone a cui dirlo e questo non è sempre un male.
Ci sono parecchie cose da preparare, non si ricorda nemmeno il tempo di sentirsi così emozionata. Quando siamo felici, in preda a momenti di gioia, ci viene da chiederci se sia un bene, se quell’euforia non si tramuterà presto in qualche evento spiacevole, viceversa quando soffriamo raramente ci chiediamo se sia giusto o ingiusto quel dolore e lo accettiamo, a volte crediamo persino di meritarlo. Ma se la felicità non è alla nostra portata lo sarà pure un po’ di entusiasmo.
A Giulia non sembra vero di possedere quella forza, quella spinta propulsiva, si sente quasi una miracolata, una privilegiata ad essere investita da tanto coraggio. Si scopre audace. Conscia di non avere nulla a cui aggrapparsi, decide di lasciarsi andare e vivere, respirare a pieni polmoni. Quello, per Giulia, non è un semplice viaggio è un respiro a pieni polmoni e mentre sistema la valigia, si rende conto che è davvero pronta a voltare pagina, ad iniziare una nuova vita. E si inizia così, ad un certo punto, nel mezzo.
Si prepara il caffè e stabilisce la sua meta, non ha dubbi in merito. Poi consulta la pagina web delle partenze ferroviarie: andrà in treno, le sembra un viaggio più lungo e poetico, sul treno, poi, le persone salgono e scendono e ad ogni fermata può viaggiare anche la nostra fantasia. Ha un’ora di tempo per uscire di casa. Fa i bagagli senza esitazione, come accade quando si è riflettuto molto, ma quella di Giulia non è una scelta ragionata. Un vero impulso autodistruttivo, si potrebbe pensare. Eppure, avviene così con certi accessi d’impeto: sorgono da desideri sospirati a lungo che, tutt’a un tratto, si tramutano in necessità impellenti, esattamente come fa il frutto maturo che, alla sua ora, si stacca dall’albero e cade a terra; a quel punto la svolta è già avvenuta e non resta che tradurla in un gesto dirompente.
Alla soglia dei trent’anni, sul fiorire della vita, Giulia avverte le sue radici già aride. Forse quel viaggio non è che un cammino alla ricerca d’acqua. E cosa c’è di più vitale? Per la prima volta nella sua vita si sente giovane. Lava la tazza della colazione e si infila il cappotto. Si ferma un istante davanti all’uscio di casa e osserva il suo appartamento: è pieno di lei, eppure non ha nostalgia per ciò che lascia, sente che dentro di sé si sta chiudendo un capitolo e uno nuovo sta per essere scritto. Ne è certa. Succede così, prima arriva la scelta e poi la consapevolezza di quella scelta. La riflessione giunge sempre dopo l’azione, anche se spesso ci illudiamo del contrario.
Prende un taxi e si avvia alla stazione. Quell’andirivieni della folla, con bagagli, pensieri, rimpianti e desideri, la fa sentire finalmente parte dell’universo e dell’ingranaggio del mondo.
Si dirige verso la biglietteria e poi verso il binario.
È una giornata fredda e umida, una di quelle giornate in cui il freddo ti penetra dentro, fin nelle ossa. Le mani gelide, le gote rosse, ma nel profondo, il ghiaccio che l’aveva ricoperta si sta pian piano sciogliendo.
Il treno sembra essere in ritardo, sul tabellone appare la segnalazione: trenta minuti. Non ci voleva. Lì al freddo ad aspettare. Decide di sedersi su una di quelle panchine in ferro, non troppo comode, ma forse raggomitolandosi un po’ sentirà meno quell’aria aspra sul viso. Prende un libro dal suo trolley, lo appoggia sulle ginocchia: La vita è altrove di Milan Kundera, ad essere altrove in quel momento, però, è la sua mente. Davanti al binario non attende il treno, Giulia attende con apprensione il proprio futuro. Senza aspettative, solo piena di desiderio.
L’animo femminino è raramente toccato da aspirazioni di gloria, non è forse l’uomo più portato al successo, più incline alla menzogna? In ogni caso, non ne avremmo la possibilità, questo è certo. Molte cose sono avvenute sul fronte della differenza sessuale, ma a volte pare ancora che si viva in uno stato di paludosa omologazione: invece di accettare le nostre parzialità, conservarle ed esprimere, tendiamo ad assimilarci.
Forse Giulia non sta approdando ad alcuna svolta, forse quella svolta non arriverà mai; forse ci sono persone che restano nel completo anonimato, ma è forse una colpa questa? La mediocrità della vita non significa certo una mediocrità di idee e di intenzioni.
Il treno sta arrivando alla stazione, ne sente il fischio in lontananza. Ci siamo.
Partirà e tenterà. Tenterà di scalarlo quel futuro; la nebbia che la avvolge è la nebbia che lei stessa ha voluto davanti ai suoi occhi, si tratta di voler vedere qualcos’altro, per una volta.
Si guarda attorno e tra la folla le sembra di scorgere un volto familiare. È Valeria, una sua vecchia compagna di scuola. Anche lei sembra averla riconosciuta e si fa largo tra la gente, venendole incontro. Ai tempi del liceo erano molto legate, ma poi lei era andata a studiare a Parigi e non si erano più viste.
Ci chiediamo che fine fanno le persone, ci immaginiamo stravolgimenti radicali, poi quando le incontriamo le ritroviamo, così come le avevamo lasciate. Non solo la loro fisionomia non è cambiata, ma neppure le loro espressioni. Valeria si avvicina e Giulia e un po’ goffamente la abbraccia. Vive ancora a Parigi. Giulia è incredula: è proprio lì che ha scelto di andare.
A volte il destino è beffardo, altre volte infinitamente magnanimo.
Guarda la stazione immersa in una luce bianca e non sta più nella pelle. È una di quelle sensazioni un po’ puerili: alla vista del treno assapora la sensazione di una bambina di fronte ad una bella giostra colorata e luccicante.
Si alza e prende i suoi bagagli come afferrasse la sua vita intera e le sembra di sentire Je ne regrette rien di Edith Piath. No, in effetti, non rimpiange nulla. Quando si ha una valigia tra le mani e un orizzonte sterminato di fronte agli occhi non c’è davvero posto per i rimpianti.
Ciò che rimane di una vita intera sono le emozioni e i sentimenti che abbiamo provato, ma soprattutto le speranze che ancora nutriamo e questo bagaglio è veramente solo nostro, anche se un volto amico e una mano tesa impediscono di essere sopraffatti.
Forse non abbiamo bisogno degli altri, forse è sbagliato parlare degli altri in questi termini; non si tratta di bisogno, si tratta di desiderio. Non è forse fatto di desiderio l’essere umano?
Silvia Fusi