E poi c’è il caldo delle persone. Quello che parte dentro e finisce fuori. Tanti di quei cari caldi. Di scherzi finiti in pianti d’allegria, di ginocchia sbucciate insieme. Le corse alle biciclette, le passeggiate come qui quo e qua tra i monti a cercare le nocciole e a decidere di che gruppo fare parte, il caldo davanti al camino in preda alla mania di vincere a carte, di dimenticare l’amore, tendendo le orecchie per sentire la pioggia. Il caldo sui tappeti.
Il caldo di chi te lo ha dato prendendoti una volta in braccio, pizzicando le guanciotte. Il caldo degli abbracci di oggi quando entro in sala dopo 9 mesi di assenza. Credo di non averne mancato uno. O meglio ho cercato. Da chi sa cosa vuol dire faticare nella vita e voler bene. Il caldo di chi si ricorda di me sul cestino anteriore nella bici di mamma che sembravo una bambola, dicono. Il caldo di quelli che in silenzio hanno sempre fatto il loro, di chi ha passato peggio e fatica ora a darlo. Di chi non si è mai dimenticato di me. Di chi mi ha cercato, trovato, curato, fatto sentire essere un buono. Di appartenere a qualcosa che condivide.
Nessuno pensava, quando si giocava a rincorrerci, che ci saremmo separati, che un giorno ci saremmo fatti le foto per vederci, che avremmo condiviso un rettangolo di pc a distanza, che non le avremmo più date nè prese, che sarebbero arrivati, partiti, rimasti amori, che avremmo davvero nonostante tutto messo la testa a posto. Che avremmo spinto un pò più in là per farci largo nel mondo e sopravvivere come tutti ma alla nostra maniera. E quel caldo delle allegre compagnie, delle pazzie, delle nocche sbucciate, degli abbracci, delle porte sbattute e serrature a tre mandate non può finire del tutto. Le distanze portano solo tepore, certo. Qui, e ricordare lì, ora è così. E’ sperare di non sentire altre brutte notizie di perdite, è pensare che tutto tornerà anche se non può e io sarò ad aspettare…Riuscire a nascondere da qualche parte, ma non dir dove, quel caldo.