
Autore: Ana María Matute
Pubblicato da Fazi - Maggio 2023
Pagine: 216 - Genere: Narrativa, Romanzo storico
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Le strade
ISBN: 9788893258418
ASIN: B0C3119QNQ

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La guerra civile spagnola si avvicina alla sua conclusione, e Manuel, che ha passato anni in riformatorio per peccati altrui, è finalmente libero. Tutti gli hanno sempre detto che è troppo buono, ma lui sa che nessuno è completamente buono o cattivo. Diviso tra il suo padre adottivo, José Taronjí, ucciso dai fascisti, e il suo padre biologico, il marinaio Jorge di Son Major, che lo ha riconosciuto solo prima di morire, Manuel è in cerca di identità.
La sua missione lo porta da Marta, la moglie di Alejandro Zarco, il leader repubblicano noto come Jeza, giustiziato in prigione. Marta, rifugiatasi nell'entroterra dall'arresto del marito, è all'oscuro di tutto. Quando si incontrano, scoprono che entrambi portano con sé storie terribili da raccontare, e si confidano reciprocamente con grande dettaglio.

È strano che sia qui, davanti a nostro figlio. È strano che sia nostro figlio, e che si chiami Alejandro. È tutto molto strano: questa casa, questa donna che si chiama Marcela e si crede sorella di Jeza, questo ragazzo che si chiama Manuel e mi parla come se fossimo qualcosa l’uno per l’altra. Voglio dire: è strano che qualcuno pensi di avere qualcosa a che fare con me, amicizia, simpatia, semplice conoscenza. Io non conosco nessuno, non so niente di nessuno. Io conoscevo solo Jeza. Vorrei sapere dov’è Jeza, perché Jeza non muore, Jeza non muore, perché sono qui, in piedi, e guardo gli occhi di Alejandro, che mi guardano a loro volta. È strano che il bambino non pianga. Vedo i suoi occhi brillare e il naso è un’ombra schiacciata, con due buchini rosa. Alejandro è il figlio di Jeza, ma non mi sembra che abbia nulla a che fare con lui. È molto strano, tutto molto strano, ma io sono di Jeza molto più di questo bambino. Io, il mio corpo, i miei capelli, i miei denti, i miei occhi, la mia pelle, abbiamo preso da Jeza più di questo bambino, che è suo figlio. Jeza è molto più in me che in questo bambino.
Nell’ ultimo intenso romanzo scritto dalla celebre autrice spagnola Ana Maria Matute, edito da Fazi e dal titolo I soldati piangono di notte, tradotto da Gina Maneri, si respira un’atmosfera tormentata e al contempo delicata, incentrata sull’intima sofferenza dei due protagonisti: Manuel, da poco uscito dal carcere, e Marta, “la donna di Jeza”. La prigione ha cambiato, indurito e forgiato il ragazzo, considerato da sempre troppo tenero per una vita tanto dura.
Toccherà proprio a Manuel informare la donna della sconvolgente notizia della morte per assassinio di Alejandro Zarco, conosciuto da tutti, perfino dai suoi nemici come Jeza. Da questo incontro, inizierà il lungo e travagliato flusso di coscienza di Marta a Manuel, intenta nel ricordare il suo passato tormentato perché è proprio vero che: “Tutti espiamo colpe altrui”.
In quell’occasione, Marta confessa a Manuel la relazione con il fidanzato della mamma, Raúl, persona ambigua e arrivista, ma dolce e affettuosa. La donna inoltre si sfoga svelandogli particolari della sua adolescenza, in particolar modo del rapporto conflittuale con la madre auto, ma Manuel è tornato con un preciso obiettivo, una missione da compiere. Ci riuscirà?
Approfondimento
Né la Croce né l’infanzia bastano, il martello del Golgota, l’angelica memoria a schiantare la guerra. I soldati piangono di notte prima di morire, sono forti, cadono ai piedi di parole imparate sotto le armi della vita. Numeri amanti, soldati, anonimi scrosci di lacrime…
I soldati piangono di notte può essere definito un inno alla pace e una denuncia alle atrocità della guerra, che porta con sé morte e distruzione. Meraviglioso il titolo, in cui viene citato un verso dell’omonima poesia di Salvatore Quasimodo, emblema di un’opera appassionante che tocca il cuore e squarcia l’anima lasciando con l’amaro in bocca. La guerra, unitile e aberrante abominio che non uccide solo i corpi, ma anche i cuori e le menti di chi vive questo straziante inferno, proprio come l’autrice Ana Maria Matute.
Questo romanzo scritto con uno stile forte e soave al contempo cattura il lettore dalla prima all’ultima riga.
Da tempo, non sapeva da quando, se fin da quello stesso ventre in cui la sua vita aveva cominciato a pulsare o solo da ora, dal momento in cui l’abate aveva finito di dire «Abbi pietà di lei», un oscuro rancore lo invadeva, antico e segreto (proprio come deve sentirlo la terra nei confronti delle mille forme che la feriscono e la mortificano, e che pure al tempo stesso incoraggia). Un rancore passivo e privo di rabbia, non scevro d’amore, lo trasformava. Aveva visto gli alberi perdere le foglie e liberarsi della corteccia; anche lui si stava lentamente, inesorabilmente spogliando della sua infanzia ingenua, dell’ultimo sopore del sonno. (Questo rancore passivo e privo d’odio, senza conseguenze, che precede forse l’amore degli uomini, o l’odio, che sboccia con la magica regolarità delle stelle o dell’erba). Lei, a cui la sua coscienza umana nulla poteva rimproverare, ma per la quale lui stesso, la sua carne, le sue ossa, la sua coscienza erano un rimprovero vivente. (Non sono un bravo ragazzo. Sono un ragazzo sbagliato e ribelle che non rispetta la legge, né l’onore, né i lutti, né la gioia, né la logica e decorosa copertura degli irreprensibili abitanti di quest’isola.
Francesca Votino