
Autore: Biagio Goldstein Bolocan
Pubblicato da Feltrinelli - Aprile 2017
Pagine: 252 - Genere: Gialli
Formato disponibile: Brossura
Collana: I narratori

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Nella zona Isola di Milano viene ritrovato nel suo appartamento il traduttore della Feltrinelli, Cesare Paladini-Sforza, morto. A prima vista sembra un suicidio, ma a ben guardare si rivela essere un omicidio. Sul luogo la fattura per l’acquisto di un anello e la mancanza del canonico leggio sempre presente. Chi lo voleva morto e perché?

Milano 1956. Il vice commissario Guerini viene chiamato d’urgenza in ufficio mentre stava per ordinare il suo pranzo a causa di un’emergenza: in via Borsieri il traduttore della casa editrice Feltrinelli è stato trovato morto nel suo appartamento dalla portinaia del palazzo. Tutto fa credere che si sia tagliato la carotide da solo, ma la polizia è più propensa a pensare a un omicidio. Prima di morire Cesare stava lavorando sulla traduzione del romanzo Il dottor Zivago di Boris Pasternak.
Guerini capisce subito che la soluzione del caso non sarà semplice e infatti più si addentra nelle indagini e più affiorano piste inquietanti legate a interessi politici internazionali. Toccherà a Guerini districarsi fra le varie storie per trovare l’unica che lo condurrà alla verità.
Cesare compie il viaggio senza ritorno in meno di un decimo di secondo. La lama che gli ha reciso la carotide ha appena terminato il suo fatale percorso, seguendo la direttrice sinistra-destra, che subito le energie si dilapidano e la gravità lo trascina in terra. La transizione fra la vita e la morte si compie abbagliante nel tempo compresso di quella caduta rovinosa.
Già dalla primissima descrizione de Il traduttore si può notare lo stile molto particolare di Biagio Goldstein Bolocan, che tramite un linguaggio melodico e raffinato rende un semplice omicidio una poesia sulla vita e la morte. Caratteristica questa riscontrata per tutta la lettura e che permette anche ai lettori più deboli di stomaco di godersi appieno la lettura sentendosi coinvolti e immedesimati nel romanzo.
Non è uno di quelli che mangiano per sopravvivere, per assicurare al loro esigente organismo le risorse di energie sufficienti a tirare avanti. Guerini è un altro tipo d’uomo; mangia perché assaporare le pietanze di sua moglie o di quel pirla di Gianfranco è un atto di comunione mistica con la natura e con la storia, cioè con l’impareggiabile maestria umana, maturata nel corso di millenni, di manipolare gli elementi naturali trasformandoli in deliziosi doni per il palato. Mangiare, per Guerini, è un atto religioso, ma anche un po’ filosofico e senz’altro artistico, e forse anche, a ben rifletterci, sociale e culturale.
Le grandi capacità descrittive di Goldstein Bolocan si riconoscono anche nei passaggi più periferici del romanzo. Come si può notare in questo stralcio in cui descrive un semplice salto di pasto, causato da una chiamata in commissariato, come un concetto filosofico, artistico e poetico di grandissima intensità e profondità, trasformando un semplice bisogno in qualcosa di mistico e divino.
«Taccia per dio! La faccenda è seria perché Paladini. Sforza era un traduttore che lavorava per una nota casa editrice…» dice il questore, interrompendo sapientemente il flusso lineare del discorso così da creare un piccolo vuoto di scena ricolmo di attesa, «… la Feltrinelli.»
Molto simpatica e intelligente la decisione presa dall’autore di ambientare la storia a Milano e con protagonista nientemeno che un dipendente della Feltrinelli. Intelligente perché così ci si riesce a immedesimare maggiormente essendo ambientazioni che conosciamo un po’ tutti, anche chi non è mai stato a Milano. Simpatica perché per scelta voluta o mera coincidenza è proprio la casa editrice Feltrinelli che ha pubblicato Il traduttore, creando così un legame ancora più forte tra realtà e finzione.
Approfondimento
Una nota un pochino negativa, e comunque piccola, che devo dare a Il traduttore, riguarda la scelta dell’autore di centrare tutto il secondo capitolo sul calcio. Infatti dopo una partenza poetica e molto d’atmosfera, questo cambio radicale rovina il legame che si era creato con la mente del lettore, distraendolo e, almeno nel mio caso, annoiandolo. Una scelta davvero triste che obbliga, a chi decide di continuare la lettura, una fatica grossa per recuperare feeling con la storia narrata.
Fatica accentuata dal terzo capitolo, quasi interamente incentrato sulla situazione storico-politica ungherese, che pur permettendo di avere un quadro ben preciso del contesto in cui è ambientato il romanzo, e conoscere le idee politiche di Guerini, porta il lettore prima ad annoiarsi e poi a chiedersi cosa centri al situazione ungherese visto che siamo in Italia. Domanda che avrà risposta solo alla fine del romanzo.
Bisogna però ammettere che la fatica viene totalmente ripagata dal quarto capitolo in poi, dove troviamo un ritmo scorrevole, veloce, un aumento dell’azione con atmosfere adrenaliniche. Si inizia a trovare suspance e colpi di scena magistrali che ci portano a seguire Guerini con apprensione, ritrovandoci spesso a fare un riepilogo degli indizi per trovare anche noi il colpevole e il movente.
Un romanzo che sa davvero colpire e che se all’inizio gli si dà fiducia sa ricambiare donando un’avventura senza eguali.