
Autore: Henry Miller
Pubblicato da Feltrinelli - 2012
Pagine: 293 - Genere: Autobiografico
Formato disponibile: Brossura
Collana: Universale economica

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Scritto a Villa Saurat, a Parigi, dopo la sua fuga dall’America, nel 1938, il romanzo autobiografico è la continuazione di Tropico del Cancro; narra della sua esperienza lavorativa presso l’ immaginaria Cosmodemonic Telegraph Company a New York negli anni venti, intersecata con le tante relazioni sessuali e /o amorose raccontate con spregiudicata naturalezza, perché il sesso è proprio così: niente altro che una parte della vita.

Quando riflettiamo su opere che seguano come un fiume in piena il flusso di coscienza, rompendo gli argini della convenzione, è ovvio che il nostro pensiero corre ad autori che si studiano a scuola, come Svevo e Pirandello; certo perché la lettura di Tropico del Capricorno di Miller è sconsigliata a un pubblico in età scolare, ma è un testo che penetra dentro le viscere fin sopra i capelli e ci destruttura dalle fondamenta e ci lascia storditi per l’ardimento dell’impresa letteraria che è flusso di coscienza totalmente incosciente, di portata di gran lunga superiore a quelli di autori che si studiano a scuola. Quindi aspettate di compiere i famosi diciotto anni per conoscere un capolavoro della letteratura novecentesca americana, messo all’indice per ventidue anni dall’America puritana, finché una sentenza del Dipartimento di Giustizia stabilì che il suo contenuto non era da considerarsi osceno. Tropico del Capricorno tradotto in Italia da Luciano Bianciardi, è pubblicato da Arnoldo Mondadori editore poi Feltrinelli. L’opera letteraria per Miller non è imitazione della natura, come sosteneva Platone, ma trionfo incommensurabile del caos, la vita è un nulla nel quale tutti scivolano: forti e deboli, potenti, impotenti, armati, inermi, grandi società economiche, piccoli e insignificanti privati. Tutti in cerca del miraggio, del posto al sole, tutti impotenti di fronte all’esistenza che non conosce regole, non ha strutture, segue il suo corso caotico. Se le cose stanno, non resta che seguire la fiumana, lasciandosi travolgere nelle avventure più disparate, più toccanti o più insignificanti: il che è lo stesso.
Nichilismo allo stato puro costruisce un’opera magnetica per chi non ha paura di prendere coscienza della grande mascherata che è la vita, dove tutti interpretiamo un ruolo più o meno di valore, ma che nulla è di fronte alla verità ineludibile del nulla. E non si tratta di aspettare il nulla eterno, di foscoliana memoria, qui il nulla lo si vive quotidianamente. Questa consapevolezza accompagna l’autore fin dal momento in cui fu gettato, come direbbe Heidegger, su questa terra; anche da bambino voleva morire. “Una volta mollata l’anima, tutto segue con assoluta certezza, anche nel pieno del caos. Da principio non fu mai altro che caos: un fluido che mi avviluppava, ed io respiravo per branchie”. In tutto regna la contraddizione, l’opposto sentire, la contraddizione in termini, il paradosso. Di fronte a questa sconcertante rivelazione dell’incipit preparatevi ad andare incontro a un opera delirante, altamente evocativa, che vi getterà nel magma multiforme della vita succhiando le vostre energie fino al midollo. La noia, ecco un altro filo rosso del romanzo, la vita è noia e nausea alla Sartre, ma Miller non fa nulla per cambiarla, anch’egli è un fallito, un fallito consapevole del nulla. A nulla serve Dio, non esiste, se mai esistesse, gli sputerebbe in faccia.
Agli occhi degli altri Miller appare buono, gentile, generoso, leale, fedele, in realtà è indifferente, ma non perché nutra la Divina indifferenza montaliana che fa intravedere il miraggio, ma si tratta di un’indifferenza che è distacco emotivo dalla realtà; può permettersi di essere buono perché non invidioso. Quanta bellezza in questo! Concordo: l’invidia è il peggiore dei vizi, perché ti consuma dentro e non ti dà tregua, mentre l’unico sentimento che Miller avverte nel suo distacco emotivo è la pietà, che non turba il valore escatologico della sua vita: la libertà.
La libertà, in primis, è ciò che si cerca dall’anima e, per conseguire questa, la massima virtù, occorre scardinare il sistema, gettare la maschera, anche quando si arriva a ricoprire posti prestigiosi di incarico dentro la società, anzi soprattutto quando sì ì lì ad esercitare il potere. Così Henry, dirigente dell’immaginaria società telegrafica, non riesce a dire di no, raccatta tutti, e, se non può dare un posto, dà soldi e, se non soldi, sigarette, perché tutti in questa realtà americana degli anni ’20 sono dei disgraziati in cerca di un lavoro. Nelle loro richieste Henry coglie il lato umano, scava dentro la psiche, unendosi ai disperati e facendo crollare il mito americano della felicità. Perché la felicità non c’è; è una facciata da smascherare, è il risultato di una certa americana millanteria. Inutile quindi cercare di tenere sotto controllo il Mondo, perché esso è per definizione un grandissimo caos. In questa condizione imperante il sesso è solo un aspetto dell’uomo che va trattato come qualsiasi altro, alla stregua di una corsa campestre o della ricerca di un lavoro. Il pene e la vagina sono naturali parti del corpo da trattare con lo stesso di disincanto del corpo tutto. Così, come nel Tropico del Cancro, in Tropico del Capricorno ci sarà un ricco repertorio delle sue performances sessuali, che non sono fini a se stesse, ma specchio dell’esistenza tutta con le sue sublimità e le sue bassezze.
Il sesso, seppur esplicito ed esplosivo, si fa catarsi come nella poeticissima chiusa in cui si entra in contatto col sogno di una vita, quello della libertà incarnata da una donna da sempre amata.
Questa è la vera New York, quella malata, che rotola ai bordi della disperazione, dove tutti siamo frammenti sotto lo stesso cielo:
“Da anni non pensavo a questo libro che solevo scrivere andando da Delancey Stret a Murray Hill. Ma passando sul ponte, col sole al tramonto, i grattaceli lucidi come cadaveri fosforescenti, intervenne il ricordo del passato…ricordo dell’andare avanti e indietro sul ponte, di andare al lavoro che era morte, di tornare a una casa che era un obitorio, imparare a memoria il Faust guardando il cimitero, sputare dentro il cimitero dalla ferrovia sopraelevata…altri grattacieli che crescono, nuove tombe per lavorarci e morirci, le barche che passano di sotto…”.