“Poco so di me
e quel che sono, celato, cresce
si trasforma e
intanto,
ancora poco so di me.
Scavo nel mondo
e scrivo,
di altri mondi e di me.
Senza pretese scrivo
e quel che scrivo
leggo, rileggo e imparo
quello che sono io,
che sono gli altri,
e vivo.”
Poco so di me (tratta da “Poesie del sabato senza villaggio” edito dalla GDS Edizioni
Ciò che colpisce maggiormente nell’accostarsi a questa straordinaria poetessa è il pacifico coesistere in lei di una preparazione fuori dal comune (attestata, tra l’altro, da uno stupefacente elenco di titoli ed esperienze nel curriculum vitae) e di una umiltà che riesce, se possibile, ad avvicinare ancora di più i lettori ai suoi delicati versi; un’umiltà dettata, come nei migliori casi, dal non sentirsi in obbligo di dimostrare perché Katia Debora Melis semplicemente “è” e non deve dimostrare di essere. Poetessa prolifica, ha all’attivo ben sei libri: “Penombra” (poesie), 2007 – “Ripensando a Ernesto De Martino” (saggistica), 2007 – “Oceano stretto” (poesie), Nuovi poeti ed., 2008 – “Yggdrasil” (poesie), 2010 “Solo ali di farfalla (anima mia)”, poesie, 2012 – “Poesie del sabato senza villaggio” (poesie), 2013 e il racconto breve “Le campane di Mesuinas” (racconto breve), 2009.
1) Cara Katia, come riesci a conciliare il tuo mondo lirico con il quotidiano? Ciao Alessandra. Ti ringrazio per questo spazio e quest’occasione che mi offri per raccontare un po’ di me fuori dai versi. Intanto parto dal presupposto che la conciliazione non sia affatto un’operazione necessaria né tanto meno, credo, possibile, se non in minima parte. Vi è la coesistenza, questa si, che è fondamentale perché mondo lirico e vissuto quotidiano possano vicendevolmente darsi consistenza. L’osmosi è indubbiamente continua e anche l’allontanarsi dei due poli, quando spesso avviene, è indicatore del fatto che uno dei due sta esercitando la propria influenza in modo preponderante, tanto da indurre l’altro a volerne prendere le distanze.
2) I tuoi versi sono estemporanei o frutto di un accurato labor limae? Entrambe le cose. Vi sono scritti nati di getto e rimasti così, icasticamente “giusti” nella misura e nella sostanza, altri che nel corso del tempo ho sentito il bisogno di ripulire o, comunque, modificare perché nel rileggerli li sentivo in dissonanza. Direi quasi in egual misura.
3) In quale progetto sei impegnata attualmente? Attualmente sono impegnata su diversi fronti: ho in corso alcune collaborazioni editoriali per la redazione di contenuti culturali, per lo più inerenti la poesia contemporanea; mi preparo a partecipare ad alcuni interessanti incontri letterari pubblici e readigs che si terranno nei primi mesi del 2014 e poi tanta, tanta scrittura. Tra le prossime pubblicazioni ci sarà, all’inizio del 2014, la nuova edizione di quelli che sono stati i miei esordi poetici (dati alle stampe nel 2007). Copertina, veste grafica e alcuni contenuti sono mutati, ma la sostanza dei primordi è stata conservata per dare la possibilità anche a quei lettori che, per l’ormai annosa indisponibilità del testo, non avevano potuto leggere quei versi, di conoscere anche quello che è stato l’inizio di un cammino che, oggi, è diventato un costante e piacevole dialogo. Altro lavoro molto impegnativo e la stesura di un testo narrativo che forse un giorno sarà un romanzo o un racconto di racconti, a più voci e piani intersecatisi. Da tempo ce l’ho in mente, ma esce molto lentamente dalla penna. Pazienza: speriamo che l’attesa valga la giusta soddisfazione di chi lo leggerà.
4) La musica ti influenza nel comporre? Si; non necessariamente, ma spesso capita e il più delle volte è la musica etnica, quella tradizionale, sarda e non, a darmi quelle vibrazioni che solo ciò che si lega alle radici può dare.
5) Ultima domanda. Da aquilana posso ben comprendere il dramma che avete appena vissuto nella splendida terra sarda. Come hai vissuto questo terribile evento? Questa domanda lega la sua risposta quella predente. Ritorna in me sempre, il tema delle radici, del legame viscerale madre-figli: una delle mie poesie si intitola TerraMamma e con questo credo di averti già svelato molto di quello che è stato e che è ora il mio sentire. Così intendo la Sardegna, madre non migliore né peggiore di altre, ma propria e insostituibile matrice. Il dolore è stato lancinante, una ferita profonda che ancora dura, aperta nella terra e nella carne viva di tanti fratelli e sorelle. Di fronte a questo evento catastrofico i sono imposta, non senza fatica, il silenzio lirico perché volevo che la parola non giungesse a modificare in nulla il senso di quel dolore. Solo dopo. Per partecipare attivamente a un’iniziativa solidale verso le vittime dell’alluvione ho offerto in pochi versi, rispettosamente, sofferenza e amore.
Alessandra Prospero