Una riflessione sull’amicizia. Uno sguardo malinconico alla società moderna. Un flusso di pensieri. Una vicenda in precario equilibrio tra il biografico e l’immaginato. Tutto questo è 7 giorni, il primo romanzo auto pubblicato di Pablo Cerini. Dismessi i panni dello sviluppatore software, Cerini ha messo alla prova il suo lato creativo stendendo un romanzo trascinante e tremendamente vero, con uno stile al contempo semplice e coinvolgente. Incontriamo l’autore per curiosare tra le pagine del suo romanzo d’esordio e per riuscire a leggere anche quanto le parole non dicono.
Pablo Cerini: da programmatore a scrittore. Cosa ti ha spinto a passare dalla stesura di codici a quella di testi? Che ruolo ha la scrittura nella tua vita?
Ho sempre scritto per lavoro, anche se invece di parole umanamente comprensibili nelle ore di lavoro batto su tastiera delle istruzioni per un compilatore in linguaggio macchina. Arrivato a un certo momento della mia vita, ho capito che qualcosa nel mio lavoro non era completo. Forse perché stavo facendo la cosa giusta nel modo sbagliato: stavo scrivendo, che è quello che volevo fare, ma invece di codice ora il mio cuore sentiva il bisogno di scrivere storie. Alcuni quando sentono che lavoro come informatico e faccio lo scrittore rimangono disorientati obiettando che non c’è coerenza tra l’irrazionalità creativa di uno scrittore di narrativa e la razionalità logica intrinseca invece nel lavoro di sviluppatore software. Invece trovo una forte continuità tra le due professioni: in fondo la narrativa è una specie di codice che utilizza situazioni e personaggi concreti per portare alla luce i moti segreti dell’animo umano. Inoltre, sempre di scrivere si tratta: semplicemente con un programma parlo a una macchina, con un romanzo a un’anima.
7 Giorni è il tuo primo romanzo. Un’idea nata quando avevi 25 anni, ma rimasta chiusa in un cassetto per molto tempo, in attesa di quel “vissuto” necessario per trasformare una serie di riflessioni scollegate in un racconto. Qual è stato il tuo rapporto con il testo durante questo ampio lasso temporale? Cosa ti ha spinto a non accantonare l’idea?
Durante questo lasso temporale, per quanto sembri strano dirlo ora, il testo è rimasto davvero dimenticato mentre la vita mi portava a fare altro, fino a che non è saltato fuori per caso controllando dei backup su un hard disk dopo un trasloco. Quando l’ho riletto per la prima volta dopo anni, ho provato vergogna ma anche una certa adrenalina perché, nonostante le ingenuità e gli errori, il testo aveva un suo ritmo da cui venivi catturato.
P. è il modo in cui viene identificato il protagonista di 7 Giorni, una lettera puntata che rimanda inevitabilmente al tuo nome. Tu stesso hai dichiarato che P. doveva essere il tuo alter ego, anche se poi la stesura del romanzo ha caricato il personaggio di tratti propri e valori ben diversi dai tuoi. Quanto c’è di te in P. e in cosa invece siete opposti?
P. riflette alcuni miei difetti che con il tempo e molta fatica ho imparato a correggere. Una sorta di scheletro nell’armadio.
Leggendo il tuo romanzo si ha più volte la sensazione di sbirciare da una serratura e di poter cogliere alcuni momenti della tua vita. Quanto c’è di autobiografico in 7 Giorni?
Alcune cose sono autobiografiche, altre inventate.
Nel tuo blog hai raccontato che 7 Giorni era nato come ode all’amicizia, ma il risultato è diametralmente opposto. Cosa ti ha portato a questo brusco cambiamento di rotta?
Brutte esperienze.
P. e F. vengono presentati come due soci, due amici inseparabili. Il gatto e la volpe di turno sempre pronti a spalleggiarsi e ad affrontare ogni vicissitudine uniti. P. stesso è disposto ad impegnarsi economicamente per tirare fuori F. dai guai. Eppure durante la lettura si ha la costante sensazione che questa amicizia sia più un bisogno egoistico reciproco dei due personaggi, piuttosto che qualcosa di sincero. P. ha bisogno di F. per dare un senso al suo tempo dopo il lavoro, mentre F. ha bisogno di P. come una sorta di salvagente. Qual è la vera natura del rapporto tra P. e F.?
F. è un carattere positivo, anche un po’ ingenuo. Ha il problema di non sapersi dare un limite ma è una persona piacevole e solare. P. invece ha toccato un livello di nevrosi molto più grave: è solo una maschera dietro cui non è rimasto più niente se non un abisso di disperazione. P. vampirizza F. per compensare la sua mancanza di autostima ma non esita a sacrificarlo appena gli capita qualcosa di meglio tra le mani.
P. traspare come l’antieroe. Un uomo che nonostante l’età gioca ancora a fare il ragazzino. Un uomo che sente il bisogno di avere una famiglia da cui tornare dopo il lavoro, ma che si fa puntualmente rapire dalle frivolezze della movida milanese. Un uomo che non prende mai una decisione, ma ritiene più facile assecondare gli altri: ora seguendo F., ora accettando le volontà di L. anche a costo di sacrificare l’amicizia di una vita. Qual è la tua personale valutazione di P.? In qualche modo senti di aver celato dietro al tuo personaggio una sorta di critica all’uomo e alla società moderna?
Dando questo taglio interpretativo, P. rappresenta perfettamente quello che penso della società moderna: una realtà che ti si presenta amichevolmente ma di cui è meglio non fidarsi.
Chi ti ha supportato nella stesura di questo romanzo e da chi ti sono arrivati i primi feedback?
Premesso che faranno sante mia moglie e mia madre, il romanzo nella mia cerchia di conoscenze ha avuto inizialmente un feedback molto negativo. Poi l’ho fatto leggere ad una amica di mia moglie che ne è stata entusiasta e mi ha dato la spinta a credere nel progetto.
Qual è secondo te la scena del libro che meglio sintetizza la linea d’azione dell’intera vicenda?
Non lo so. 7 giorni nella mia testa è nato più come un flusso che uno storyboard. Non riesco a rispondere.
Hai nuovi progetti in cantiere? L’eventuale prossimo libro avrebbe lo stesso carattere di 7 Giorni o sarebbe un nuovo esperimento letterario?
Al momento ho scritto tre altri romanzi, tutti inediti. Il primo è un fantasy ispirato a Terry Pratchett e al realismo magico di Meyrink. Poi c’è un romance storico incentrato sul rapporto tra arte e politica. L’ultimo è invece collegato a 7 giorni ma è più una sorta di prequel, che racconta la fase felice dell’amicizia dei due protagonisti.
A 7 giorni vanno riconosciuti due grandi meriti. Il primo è quello di far riflettere il lettore con leggerezza e spontaneità. Il romanzo infatti sviscera delle tematiche attuali e delicate, evitando abilmente la pesantezza e sostituendo la negatività con l’ironia. Il secondo merito è quello di dimostrare che una grande passione trova sempre i modi e i tempi per concretizzarsi: Pablo Cerini è un marito, un padre, uno sviluppatore software che però ha saputo trovare il giusto posto alla scrittura.