Facciamo che la finiamo così, qui, questa sera.
Con le prove, le giustifiche, le mani addosso.
Facciamo che io adesso mangio e vomito tutto quello che ho da dirti, e poi lo annuso.
Ci penso e non mi limito, niente freni.
Tocco, io tocco anche senza muovermi di qui,
tocco il tuo non amore, le altre, tocco i tuoi occhi adesso tristi, adesso fuoco.
E vedo, contemplo lo stillicidio che portiamo in scena, quando ci va bene, ché quando va male è indifferenza e pietra.
E lava, fiumi, insulti e ceffoni.
Vita, ma anche un po’ morte.
E poi gli altri ci guardano strano, io non voglio essere guardata così.
O ci mettiamo una maschera, ora, o ci stiamo zitti, ora.
Tanto, non mi salvo comunque.
Le canzoni e le parole che volevo fare,
crearmi dal niente, per te.
Mi ripetevo: “Non c’è, non devi dirlo”.
E nemmeno pensarlo, che solo a pensare si fa peccato.
Mi chiedo, che senso abbia avuto.
Non distinguo facilmente le cose, adesso, sembra un agglomerato di roba lasciata stare.
E lasciarmi stare sarà la parte difficile.
Perché io mi sono resa pubblica,
nota,
ho detto e ridetto,
ho consumato lo spessore giusto e ho guardato da tutte le angolazioni.
Non ho lasciato niente al caso, e nemmeno premeditato.
E non è il caso, adesso, starmene a digiunare per mancanza d’aria.
Ma va così, e non riesco altro.
Non ho promesse,
tu non farmi promesse.
Non dirmi niente, non esserci.
Parliamo d’altro, del tempo magari.
Qualcosa di neutro, un campo non minato.
Leggeri,
spostiamoci nell’ambito delle frivolezze.
Raccogliamo forza, pazienza,
e tutte le buone maniere per limitarci alle ovvietà.
Parliamo di storia, geografia, politica no che ci deprimerebbe,
amore no che ci violenteremmo l’anima.
Lo sappiamo,
partirebbero subito baci dannati,
vestiti strappati,
graffi e marchio del territorio.
C’è da dire che ti mangerò con fame secolare,
come non averti mai avuto,
visto,
sentito prima.
C’è da aggiungere che una manciata di ore non renderebbe giustizia nè scioglierebbe tutte le vele, e tutti gli abiti non saranno caduti.
C’è da sottolineare che un tempo si poteva parlarne,
avere un sano,
trascurato distacco e che ora no,
mi pare di essermi conficcata fin dentro le tue vene.
C’è da capire che non è un bene non è un pensiero giusto non è un accadimento di domani non ci sono i presupposti non c’è speranza non c’è pace non c’è fine.
C’è da mentire.
Liscia e senza sovrastrutture, Assorta nel limbo della tua lingua,
Tremo di delirio Umido,
Assoluto e aspro sapore.
Bevimi dal collo,
Ornami
Con
Ciglia lunghe dipinte nere, Asportami,
E recidi gli ultimi dubbi
Stupidi,
Tentacoli distorti di una realtà non raccomandata,
Asfittica,
Silenziosa e assassina che impone
Immagini quadre quando noi siamo cerchio.
Ho crisi immediate,
sbalzi di traslucide emozioni, di pelle.
Inganno il tempo attendendomi, ma non è un gioco semplice.
Tutto il tempo è risucchiato, è così chiaro questo per me.
Ché non c’è spazio fuori, tutto occupato, dentro manco a parlarne.
E più mi arrampico su queste idee, più scendo, scivolo, affogo.
Mi pare di avere un mare sotto, una pozzanghera di sabbia mobile, un tuffo al cuore, uno strazio d’anima.
Sì, sei lontano.
Non ho mai sinceramente capito cosa faccia per non farmi comprendere.
Come diventi libro chiuso,
come mi trasformi in una creatura vivente sul pianeta ignoto.
Prendo fuoco, forse?
Datemi dell’acqua, allora.
Ditemi che ce la posso fare quando sono a terra irrimediabilmente,
perché io non cerco nessuna mano e non trovo nessun appiglio.
La sincronia diventa un latitante sotto altro aspetto.
Furtivamente s’insinua e separa.
Gli strappi urlano e tengono ancora per un punto quel limbo,
dove sono le cose più care,
l’armonia di testa,
la bocca dolce.
Un amaro, prego,
che mi disintossichi l’anima da queste scorie che si riproducono,
si inalberano e fanno un bosco di rovi pronto a pungere.
Niente sangue versato, è solo un altro inutile veleno.
Buggy Mind