
Autore: Hannah Arendt
Pubblicato da Feltrinelli - Settembre 2013
Pagine: 320 - Genere: Saggi
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: Universale economica Saggi

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Adolf Eichmann è stato un militare delle SS tedesco considerato uno dei principali responsabili delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Come molti altri ufficiali delle SS al termine della guerra, si era rifugiato in Argentina sotto falso nome, e proprio qui viene catturato e portato in Israele per essere processato l’11 aprile del 1961.
Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca, in questo trattato analizza in maniera il più possibile oggettiva, le varie fasi del processo a Eichmann, cercando anche di tracciarne un ritratto psicologico. Le domande che si pongono lei e i lettori sono tante, e le risposte non sempre purtroppo riescono ad essere esaustive.

Chi è stato Eichmann? Figlio di un uomo d’affari, non ha mai terminato gli studi superiori, inizialmente ha lavorato come meccanico, poi nell’azienda mineraria del padre. Infine si arruolò nelle SS “Kalterbrunner gli disse: Perché non entri nelle S.S.? e lui rispose: Già, perché no? Andò così.”
Dopo aver letto “Lo stato Ebraico” opera principale del movimento sionista, si ritenne esperto della questione ebraica e per questo inizialmente si occupò della deportazione degli ebrei dai paesi europei per inseguire l’ideale di creare uno stato che fosse esclusivamente di appartenenza ebraica.
Una svolta nella sua vita è rappresentata dalla conferenza di Wannsee, in cui si decise di passare alla “soluzione finale” e cioè al definitivo sterminio degli ebrei nel mondo. Il ruolo di Eichmann diventò quindi quello di organizzare le partenze dei treni che portavano gli ebrei nei campi di sterminio, ruolo che svolse con la precisione di un contabile.
Eichmann era un nazista convinto? Hannah Arendt dà la sua risposta in La banalità del male: si limitava a eseguire degli ordini, a rimanere fedele allo stato tedesco, qualunque cosa questo chiedesse. Poteva evitare di fare quello che ha fatto?
“…gli era parso inammissibile, neppure ora (al processo) gli sembra ammirevole….l’idea della disobbedienza aperta era a suo avviso una favola, in quelle circostanze, comportarsi in quel modo era impossibile. Nessuno lo fece, era una cosa impensabile.” “Invece di pensare: che cose orribili faccio al mio prossimo! Gli assassini pensavano: che orribili cose devo vedere nell’adempimento dei miei doveri, che compito terribile grava sulle mie spalle!” e ancora “la sua colpa veniva dall’obbedienza, che è sempre stata esaltata come una virtù. Di questa sua virtù i capi nazisti avevano abusato, ma lui non aveva mai fatto parte della cricca del potere, era una vittima…”.
Sostanzialmente Eichmann aveva una personalità mediocre, viveva per inerzia, senza alcun spirito di iniziativa, condizionato dalla società e dai suoi dettami.
Nel corso del processo Eichmann non si è mai considerato un assassino, ma un esecutore, per lui “peccato mortale non era uccidere, ma causare inutili sofferenze”; fu scosso dalle atrocità commesse dagli altri ufficiali delle SS raccontate dai testimoni, e dall’accusa che gli fu mossa di aver picchiato a morte un ragazzo ebreo, invece non lo turbò l’accusa di aver mandato a morire milioni di persone “doveva aver provato un senso di sollievo con la sempre crescente capacità di assorbimento delle camere a gas” che concedevano “una morte pietosa”.
Altra questione controversa che affronta la Hannah Arendt è quella del ruolo degli ebrei, della loro “partecipazione” e “collaborazione” al loro stesso sterminio, in quanto furono costretti ad autoamministrarsi ed ad organizzarsi per rendere più fluido lo sterminio; furono messi nella condizione in cui il problema era se morire tutti subito o sperare che qualcuno si potesse salvare. “Eichmann spiegò che se riuscì a tacitare la propria coscienza fu soprattutto per la semplicissima ragione che egli non vedeva nessuno, proprio nessuno, che fosse contrario alla soluzione finale”.
Hannah Arendt cerca di dare un punto di vista oggettivo anche sul come sia avvenuto l’arresto di Eichmann, in maniera non proprio consona, visto che è stato rapito in Argentina, paese in cui ormai negli anni sessanta i suoi crimini erano caduti in prescrizione e quindi l’estradizione non era possibile, e portato in Israele a Gerusalemme dove poté essere processato non solo per crimini contro l’umanità, ma soprattutto per crimini contro il popolo ebraico. Fu grazie a questo processo che furono portati alla luce, molto più che in quello di Norimberga, e fu in questo processo che si diede molta risonanza più ai testimoni/vittime sopravvissuti che all’imputato. Forse sarebbe stato più giusto portarlo in Germania, dove erano stati commessi i crimini, ma lo stato tedesco, a detta della Arendt avvallò una serie di “scuse” per rimanerne fuori. Cosa importante è che “se non è vero che egli (Eichmann) andò volontariamente in Israele per farsi processare, è vero però che egli fece molte meno difficoltà di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. In pratica non ne fece nessuna” .
Approfondimento:
In La banalità del male l’autrice introduce il concetto della banalità del male che dà il titolo al saggio: il ruolo di Eichmann è “banalmente” quello di eseguire gli ordini, quelli cioè di sterminare un popolo che “banalmente” non si opponeva; al processo si è voluto mostrare per quello che era, un mero e innocente esecutore che neanche aveva ricordi chiari e precisi sull’avvicendarsi dei fatti, sulle date, luoghi e persone, per quanto “banali” li considerasse.
Rimane da capire se malvagi si nasce o si diventa; molti studiosi analizzano sia i fattori genetici che quelli ambientali per individuare le basi biologiche della crudeltà e della tendenza alla violenza, altri collegano le varie forme di cattiveria alla mancanza di empatia, la capacità cioè di mettersi nei panni degli altri da un punto di vista affettivo e cognitivo; la Arendt riassume tutto nel termine “banalità del male” che si manifesta in persone normali e ordinarie che commettono atti di violenza disumani, apparentemente senza il minimo turbamento. Il male è l’essere umano che lo è volontariamente, senza averne una vera consapevolezza. Dà quindi la sua risposta che alla fine non è una risposta, perché probabilmente una risposta non c’è.
Eichmann fu condannato e impiccato il 31 maggio del 1962; il suo cadavere fu cremato e le sue ceneri sparse nel mar Mediterraneo. “
Tra breve, signori, ci rivedremo. Questo è il destino di tutti gli uomini. Viva la Germania, viva l’Argentina, viva l’Austria. Non le dimenticherò. Di fronte alla morte aveva trovato la bella frase da usare per l’orazione funebre. Sotto la forca…egli si sentì esaltato dimenticando che quello era il suo funerale”
Amelia Sara Macca