Autore: Alberto Kofi
Pubblicato da Amazon - maggio 2024
Pagine: 35 - Genere: Poesia
Formato disponibile: Brossura, eBook
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Essenziale, primitivo, completamente immerso nel respiro delle cose.
(Mariella Minnucci)
È un tutt’uno armonico, frammentato ma circolare, la poesia di Alberto Kofi, autore che vi avevamo già presentato qualche tempo fa con la sua raccolta “La follia di Aiace”. Con questa nuova selezione di componimenti l’autore attinge alla propria “riserva” poetica parole ritrovate o lasciate stagionare per tanti anni. Poesie che hanno radici lontane, geograficamente e culturalmente, e che per questo motivo offrono chiavi di lettura contemporanee giunte dal mondo classico impreziosite dal pensiero essenziale dell’oriente. Lì dove il semplice si fa denso e profondo nei significati scende il silenzio nel lettore e s’alza la soglia di attenzione.
La personale impronta di Kofi lascia un segno netto anche in La danza di Medea. Il primo elemento che ho percepito, appare piuttosto esplicito d’altronde, riguarda il distacco fisico e ancor più mentale che l’autore ha la necessità di creare per il suo processo di decostruzione necessario a quello successivo dell’ispirazione. Un distacco ma non sentimentale che è anche una elaborazione e un concentrato di persone e luoghi veduti, di viaggi e culture. Parallele. Una presa di coscienza, un passaggio dovuto, sulla condizione della fragilità umana che non esclude però la forza in essa racchiusa “Sono composto / Di terra / Infrangibile” e sulla sua natura passeggera.
Non sono mai appartenuto alla terra
Nessun uomo mi è mai appartenuto;
Una poesia assolutamente nuda nella forma, a volte ermetica nel significato, che attinge il suo forte potere evocativo dai paesaggi naturali dell’Oriente e dagli ambienti di pensiero. La vita, il viaggio, la sosta, la morte. Forte è il legame tra la prorompente natura e il sentimento che si sprigiona nel poeta. La poesia 4 “Senza titolo”, davvero pregevole, ne è un simbolo.
Ci sono tante forze
Fra il cielo e la terra
E gli uomini si stringono e si tengono stretti
E le donne anche
Io resto nascosto
Legato alle querce secolari
Fra i rami e la felce
Sotto la più impervia vegetazione
Divento una ninfa
Cantando nelle ore notturne
E vagando fra un polo ed un altro
Al sole del mattino.
Un camminamento incerto con pelle e ossa già promesse alla morte, in questo unire i puntini e i percorsi senza un ordine convenzionale prevale uno spirito libero che incontra il piccolo universo che ci è dato di vivere. Il corpo è raffigurato frequentemente nei versi, scarno, essenziale, disteso, curvo, nudo come i pensieri. Protagonista di un’attesa in una dimensione intima, spirituale.
Una danza folle, come folle è la Medea della mitologia greca, i cui comportamenti tragici macchiati di vendetta si possono comprendere solo giungendo al bivio tra ragione e sentimento. Eppure il suggerimento è che qualcosa nel proprio racconto personale deve essere giusto, si deve salvare qualcosa che valga la pena di essere raccontato. Inafferrabile, fuorviante, oscuro.
La danza di Medea è questo tipo di danza, non esiste un nome esatto per definirla a descriverne le traiettorie e che restituisca ciò che il lettore prova in questa estrema sintesi di esistenza. Folle per come imprevedibile ma sufficientemente lucida da scagliarci le parole dentro.
Sogni spenti, speranze annegate, insegnamenti, tutto questo muoversi si placa per muoversi ancora una volta con una seconda lettura. Seguire i versi di Alberto Kofi diventa crescita se si coglie l’opportunità di aprire il pensiero su una certa scomodità della realtà umana. Non esiste una definizione esatta scrivevo, dovrò utilizzare quella più generica invitandovi a scoprirne da voi stessi il vero valore. Questa è poesia, spessa. Sosterrà tutte le riflessioni, i raccoglimenti, le attenzioni che deciderete di posarvi.
Fabio Pinna