Autore: Tim Winton
Pubblicato da Fazi - Gennaio 2017
Pagine: 442 - Genere: Narrativa Contemporanea
Collana: Le strade
Dal 19 gennaio 2017 in libreria
Da pochi giorni è in libreria Il nido, il nuovo romanzo edito da Fazi di Tim Winton, il pluripremiato autore australiano tradotto in tutto il mondo, per due volte finalista al Booker Prize, che torna con una straordinaria storia sul disincanto e la redenzione, la perdita e la bellezza. Scritto con una prosa trascinante, che rivela punte di umorismo nero e spietato, Il nido è il toccante racconto dell’incontro tra due solitudini che trovano l’una nell’altra un barlume di speranza. Una storia di miseria e fallimenti, dipendenze e marginalità, sullo sfondo di un’Australia ricca di contrasti, in cui la bellezza struggente dei paesaggi fa a pugni con la periferia urbana, straniante e ostile, dell’estremo lembo del mondo.
Tom Keely, ex ambientalista impegnato molto noto, ha perso tutto. La sua reputazione è distrutta, la sua carriera è a pezzi, il suo matrimonio è fallito, e lui si è rintanato in un appartamento in cima a un cupo grattacielo di Fremantle, da dove osserva il mondo di cui si è disamorato, stordendosi con alcol, antidolorifici e psicofarmaci di ogni sorta. Si è tagliato fuori, e fuori ha intenzione di restare, nonostante la madre e la sorella cerchino in ogni modo di riportarlo a una vita attiva. Finché un giorno s’imbatte nei vicini di casa: una donna che appartiene al suo passato e un bambino introverso. L’incontro lo sconvolge in maniera incomprensibile e, quasi controvoglia, permette che i due entrino nella sua vita. Ma anche loro nascondono una storia difficile, e Keely presto si immerge in un mondo che minaccia di distruggere tutto ciò che ha imparato ad amare, in cui il senso di fallimento è accentuato dal confronto continuo con la figura del padre, Nev, un gigante buono impossibile da eguagliare. In questo romanzo coraggioso e inquietante, Tim Winton si chiede se, in un mondo compromesso in maniera irreversibile, possiamo ancora sperare di fare la cosa giusta.
«Winton non è un grande romanziere australiano; è un grande romanziere, punto». – The Times
«Un romanzo straordinario sul disincanto e la redenzione, la perdita e la bellezza. Winton al suo massimo». – The Guardian
«Una riflessione oscura e insieme abbagliante su persone e luoghi ai margini. Nelle mani di Winton, con la sua voce inconfondibile, questa perturbante storia ha il potere di sorprendere e deliziare, forse anche ispirare». – The New York Times
«La scrittura di Winton è una miscela inebriante di descrizioni potenti, sentimenti profondi e metafisica… bellissimo». – Sunday Telegraph
Tim Winton ha sempre saputo che il suo destino sarebbe stato quello di essere uno scrittore. Nasce il 4 agosto del 1960 a Perth, cittadina sul mare dell’Australia occidentale e a dieci anni annuncia ai suoi genitori che non ha nessuna intenzione di fare il poliziotto, come suo padre, ma che invece scrivere sarà il suo mestiere. A ventuno, quando ancora frequenta l’università, pubblica il libro che lo rende immediatamente famoso al pubblico australiano: An Open Swimmer gli farà vincere l’Australian Vogel Award. Da lì in poi si dedica alla scrittura a tempo pieno. E “a tempo pieno” significa che quando i suoi bambini si alzano per andare a scuola – è Tim Winton stesso a raccontarlo – lui si mette al tavolino con penna e quaderno e scrive, per otto ore al giorno, ritmi da operaio. Una costanza che lo porta a pubblicare nel giro di una ventina d’anni più di una quindicina di titoli, tra romanzi, raccolte di racconti e libri per bambini modellando uno stile che fin dall’esordio si scopre assolutamente personale. Così diventa un autore tradotto in tutto il mondo, pluripremiato, finalista nel 1995 e nel 2002 al Booker Prize.
Oltre allo stile, un’altra caratteristica di Tim Winton è il suo attaccamento alla terra natia pur con tutte le sue contraddizioni: Perth, la sua città, dove è nato e vicino a dove abita (vive infatti con sua moglie e i suoi tre figli in una casa sulla spiaggia di Fremantle, vicino Perth) è una città che geograficamente esprime a pieno i diversi volti del continente australiano, lo scontro tra la civiltà e la natura stessa, una natura che vuol dire una dimensione altra, da un punto di visto storico, sociale e spirituale: il conflitto fortissimo tra l’antica spiritualità aborigena ancora viva nell’interno e l’ethos ipermoderno della civiltà metropolitana, di Sidney e Melbourne. Così la scrittura di Winton è una scrittura poco rassicurante, che ha trasformato queste contraddizioni in una voce capace di mescolare l’incanto e la paura, e diventare come perennemente scettica rispetto all’apparenza del reale, sfidare se stessa nel frequentare gli spazi che la realtà, il mondo a noi familiare lascia incustoditi. Per intenderci basta leggere l’inizio de Il buio dell’inverno: “È già buio e io sono di nuovo qui fuori a parlare, a raccontare sempre la stessa storia alla notte silenziosa. Maurice Stubbs ascolta la propria voce, come ogni altra notte di quest’anno passato, con la veranda che sprofonda e la casa animata di rumori solitari come è sempre quando il sole tramonta su un’altra giornata e nessuno è venuto a farti quella domanda che presto o tardi verrà fatta. Io me ne sto seduto qui e racconto la storia come se non ne potessi fare a meno. Di giorno c’è sempre qualcosa che mi fa ricordare, che mi fa arrossire, pieno di sensi di colpa, di paura, farfugliante e insoddisfatto, proprio come in questo momento”. Si tratta di quell’atmosfera di sospensione, uno stato in bilico tra il credibile e l’onirico, percorso senza mai precipitare da una parte o dall’altra, che ritroviamo poi in tutti i lavori di Tim Winton.