Nato a Salerno, Ciro Caliendo si è laureato con il massimo dei voti e la lode, in Storia della Musica al DAMS di Bologna. Ha imparato l’armonia dal padre Salvatore, ottimo pianista diplomatosi a San Pietro a Maiella con Pietro Mascagni.
Si definisce intellettuale della musica. Eccellente liutaio e restauratore, si è formato alla scuola di Vincenzo e Mariano Annarumma. È uno dei più esperti studiosi di strumenti musicali meridionali.
Aspasia ha pubblicato due suoi libri, Catalogo. Liuteria storica del mezzogiorno, un insieme di saggi sugli strumenti musicali raccolti per una mostra a Ravello che ha organizzato, nel 1996, con Marco Tiella, e La chitarra battente, un saggio su un curioso strumento, conosciuto fin dal 1600.
La Calabria ha una tradizione liutaia consolidata. Come mai?
Colonie di ebrei, grandi competenti in musica e abili artisti del legno, si erano stabiliti in Calabria e nel Cilento rendendo quei luoghi culla di fenomeni di conservazione di antichi patrimoni musicali e liutari.
Per i miei studi sulla Chitarra battente fu Vincenzo Annarumma a suggerirmi di rivolgermi alla famiglia De Bonis, che abitava nel quartiere la Giudecca di Bisignano, provincia di Cosenza. Dietro ogni strumento, c’era un discorso etico del “ben fatto”, di un oggetto di valore perché “ben fatto”.
I tuoi saggi fanno luce sulla liuteria meridionale, della quale si sa molto poco. Perché?
Le ragioni sono molteplici. La distruzione di numerosi documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, a causa dell’incendio di San Paolo Belsito nel dopoguerra, oltre all’atteggiamento contrario a ogni forma d’arte legata al Barocco e ai Borbone. E poi, Cremona ha fatto un’eccellente opera di marketing che noi per mentalità, per umiltà e per pigrizia non abbiamo fatto. Intorno a Cremona tutto l’ambiente era pieno di una ricchezza musicale che favorì l’affermazione del genio di Stradivari: nella sua vita lunghissima costruì e vendette, a nobili e a ricchi borghesi, più di mille strumenti. Sospetto che sia stato geniale anche come mercante data la varietà di vernici, legni, intagli, modelli. Nel suo testamento, conservato al British Museum e ora forse a Cremona, ha lasciato ai figli vari poderi , terreni e proprietà, ma non i suoi strumenti. Curioso no?
E Paganini che rapporti ha avuto con Napoli?
Vi ha abitato per tre anni intessendo rapporti fitti con liutai e musicisti. Ordinò più di settanta archetti ad archettai napoletani che stimava molto.
Nell’ultimo tuo saggio, approfondisci la storia di due grandi artisti liutai salernitani: gli Annarumma. Sei stato allievo di Vincenzo Annarumma.
Era un uomo misterioso, un mago. Aveva imparato l’arte liutaia dal grande Postiglione, dal quale ha appreso il modello progettuale ed esecutivo della costruzione degli strumenti.
Ero un giovane musicista dilettante, quando l’ho incontrato, e lui era già un’autorità. Aveva una memoria smisurata, ricordava lo stato di conservazione e di integrità di strumenti che aveva riparato molti anni prima. Era capace di riconoscere, dall’aspetto, parentele tra persone. È stato un grande maestro.
E Mariano Annarumma?
Mariano ed io abbiamo collaborato per lungo tempo. Siamo stati amici fraterni. Era un genio del restauro. Uomo di grande fede, un francescano nello stile, sul lavoro e nei rapporti sociali. Un grande artista. Alla sua morte ho avuto il grande onore di “ereditare” il laboratorio degli Annarumma, tutti i segreti di un’arte che con loro ha raggiunto vette altissime.
Il maestro Accardo, nella prefazione al tuo libro sugli Annarumma, ti ha esortato a esplorare e continuare l’indagine sulla liuteria meridionale. Ti ha affidato il compito di completare una storia che pochi conoscono. Lo farai?
È un’indagine faticosa, ma ogni mio atto, ogni riflessione, ogni approfondimento è rivolto a trovare i tasselli mancanti di una storia colpevolmente ignorata.
Quale aspetto della musica intendi esplorare?
Ciò che ora mi interessa capire, è il prima, il dentro della musica. Ciò che è musica prima che la musica diventi teatro, rappresentazione. Tutto ciò che non si può semplificare, razionalizzare e quindi che non può diventare prodotto.
Vorrei penetrare nell’atto originato da rabbia, emozione, strazio, ironia, poesia. La musica come sequenza di vibrazioni. Lo strazio di una inadeguatezza, avrebbe sintetizzato Mozart. Capire la verità della musica prima che ammicchi al pubblico, al consenso. La verità della musica come “ potenza” indipendente dall’atto.
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