
Autore: Rosella Postorino
Pubblicato da Feltrinelli - Gennaio 2018
Pagine: 288 - Genere: Romanzo storico
Formato disponibile: Audiolibro, Brossura, eBook
Collana: I narratori
ISBN: 9788807032691
ASIN: B08R467468

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Nel tetro autunno del ‘43, Rosa Sauer, affamata e spaventata, giunge nella stanza dei pasti insieme a nove compagne da Gross-Partsch. Fuggita da Berlino, attende il ritorno del marito Gregor, combattente sul fronte russo. Le SS ordinano di mangiare davanti a piatti colmi, ma la fame cede rapidamente il passo alla paura, mentre vengono osservate per un'ora per assicurarsi che il cibo per il Führer sia sicuro. In questa mensa forzata, Rosa si scontra con rivalità e amicizie clandestine, cercando inaspettatamente l'approvazione, specialmente da Elfriede, la più carismatica e ostile. Poi, nella primavera del '44, il tenente Ziegler porta terrore, mentre il Führer incombe su tutti, creando un legame straordinario tra Rosa e Ziegler.

Hai mangiato troppo cioccolato. Del veleno, ho paura del veleno. Ma ci sono io: non puoi aver paura. Assaggio il tuo cibo come la mamma si versa sul polso il latte del biberon; come la mamma si ficca in bocca il cucchiaio della pappa, è troppo caldo, ci soffia sopra, lo sente sul palato prima di imboccarti. Ci sono io, lupacchiotto. È la mia dedizione a farti sentire immortale.
Rossella Postorino ha un grandissimo talento nel raccontare la vera storia di Margot Wölk, assaggiatrice ufficiale del Führer nella caserma di Krausendorf.
La protagonista de Le assaggiatrici prescelta per questa interpretazione è Rosa Sauer che insieme a nove donne, tra cui una infiltrata ebrea avrà il compito di assaggiare pietanze potenzialmente avvelenate. Una donna che fino a poco tempo fa viveva come privilegiata a Berlino e che dopo il matrimonio con Gregor si trasferì suo malgrado in campagna e qui sola coi suoceri mentre il marito imbracciava le armi fu prelevata dalle SS.
Alzati, Rosa Sauer! sentimmo urlare. Herta e io saltammo in piedi, Joseph tornò indietro con le uova in mano. Non si accorse che ne aveva stretto uno troppo forte, gli si era rotto fra le dita, su cui si intersecavano rivoli viscosi di un arancione brillante. Non potevo fare a meno di seguirne il tragitto, si sarebbero staccati dalla pelle e avrebbero toccato terra senza far rumore. Sbrigati, Rosa Sauer! incalzarono le SS. Herta mi premette sulla schiena, mi mossi. Preferivo aspettare il ritorno di Gregor. Credere nella fine della guerra. Preferivo mangiare.
E così per sfuggire ai bombardamenti si ritrovò tra le grinfie di aguzzini altrettanto feroci.
La scrittura è accogliente e immersiva, la storia prende inesorabilmente e si arriva velocemente alla fine. Sconvolgente e amabile. Si respira la sofferenza ed il terrore, il desiderio del suicidio e dell’evasione, la paura di morire, il nichilismo, l’assenza di amore è così potente che la protagonista ci accompagnerà all’epilogo abbandonandoci in un lago di tristezza.
Ci sono pochi episodi che raccontano la vita berlinese, si conosce una Rosa studiosa, lodevole, una eccellente cantante, poi le bombe spazzano via ogni cosa, e ci ritroviamo una Rosa adulta e moglie di Gregor, si sa poco della loro infanzia e dei loro incontri, si arriva già al momento dell’innamoramento e del matrimonio, per poi vedere partire il marito per la guerra.
Il pomeriggio successivo, sulla porta di casa, Herta mi strinse forte, mentre Joseph timidamente si avvicinava, ci poggiava le mani sulle spalle, ci circondava entrambe con le sue braccia. Quando ci slacciammo, i miei suoceri mi guardarono sparire per l’ultima volta dietro la curva di Gross-Partsch, a piedi.
Il romanzo Le assaggiatrici si concentra specialmente all’interno della caserma, tra i tavoli, le pietanze e i litigi fra le nove assaggiatrici. Ci sono quelle fermamente convinte che Hitler le abbia scelte e ne sono orgogliose e quelle che odiano profondamente il Führer, ma non possono dimostrarlo, tra queste abbiamo Rosa.
Gli episodi di pietà fra le SS e le donne sono pochi, ma ci sono. Il cuoco difenderà Rosa quando questa ruberà dalla dispensa il latte per un’altra assaggiatrice, per sfamare i suoi figli.
Il tenente Ziegler si innamorerà di Rosa e i loro incontri si faranno fitti e continuativi, entrambi si sveleranno e lui soprattutto dimostrerà il lato umano, raccontando della propria fanciullezza, lui che l’aiuterà a fuggire dall’assalto definitivo alla caserma, ma che poi a Berlino sparirà lasciandola da sola.
Potevo fare l’amore con Ziegler ignorando chi fosse: nel fienile c’erano solo i nostri corpi, i nostri scherzi, e quel bambino con cui avevo stretto un’alleanza, nient’altro. Nessun altro. Potevo fare l’amore con Ziegler anche se avevo perso un marito al fronte, che aveva ucciso a sua volta, soldati e civili, e forse pure lui era diventato insonne o impotente o si era scopato le russe – sono asiatiche, non sono come noi – perché aveva imparato a fare la guerra, e sapeva che la guerra si fa così.
Rosa viene tradita dal tempo e dalle situazioni, non riuscirà mai a concepire un figlio nonostante i vari tentativi e potrà solo occuparsi dei figli degli altri.
E lui mi aveva tradita. Era il suo lavoro, così avrebbe detto. Ogni lavoro, del resto, implica dei compromessi. Ogni lavoro è una schiavitù: il bisogno di avere un ruolo nel mondo, di essere incanalati in una direzione precisa, per sottrarsi al deragliamento, alla marginalità.
Alla fine si salverà, e Gregor tornerà dalla guerra distrutto come il loro rapporto d’amore, impossibile da ricostruire. La lontananza aveva inferto ferite dure a guarire, Rosa era sempre più distante e curava il marito come fosse un ammalato qualsiasi, seguendo una rigida disciplina e senza fargli mancare nulla se non l’amore coniugale. I due dopo alcuni anni di prova divorziarono.
L’epilogo è un resoconto sulle cose non dette e non affrontate, un finale che lascia spazio alle piaghe, che ci mostra quello che ci siamo persi, quello che anche Rosa avrebbe potuto avere se solo si fosse fidata, ma la crudeltà della guerra aveva spiazzato qualsiasi forma di speranza anche nel suo cuore che si era così raffreddato e indebolito.
Non risponde. Resto sulla sedia, incrocio le dita. Mi ero sbagliata: non è facile. – Se sei venuta fino a qui -, dice dopo un po’, – significa proprio che sto per morire. Stavolta sono io a non rispondere. Gregor mi soccorre: -Figurati se muoio, adesso che sei tornata-. Sorrido, e mi si riempiono gli occhi. Figurati se muori, adesso che sei tornato, gli dicevo ogni volta che si avviliva. Adesso non è più possibile morire, mi spiace, non te lo consento.”
Approfondimento
Quando leggiamo Le assaggiatrici abbiamo modo di realizzare cosa significhi sopravvivere anche se non si è ebrei, ma semplicemente tedeschi. Durante la Seconda Guerra Mondiale si è portati a riconoscere maggiormente le sofferenze legate alle deportazioni, ma anche il popolo tedesco, nazista oppure no, si trovò a subire le velenose angherie delle SS e la volontà malvagia di Hitler.
Le bombe poi specialmente quelle russe erano distruttive, e fra le due nazioni l’odio imperversava senza lasciare spazio all’intercessione. Il supplizio vissuto dalla popolazione agricola più povera era evidente e calcolato, le donne dovevano fare figli, più sani possibile e poi vederseli portare via per rifocillare le truppe militari, le donne giovani venivano ingaggiate per lavorare duramente e alcune mandate ad assaggiare il cibo di Hitler, sfruttate come cavie per evitare avvelenamenti.
Si rischiava la morte per Hitler anche se non si era al fronte. Una situazione poco conosciuta, ma che ha tremendamente segnato il popolo germanico.
Ma chi avrebbe mai preferito la vita eterna alla sua vita qui sulla Terra? Io no di certo. Ingoiavo il boccone che avrebbe potuto uccidermi come fosse un fioretto, tre fioretti al giorno per ogni giorno della novena natalizia. Offri al Signore la fatica dei compiti, la tristezza per il pattino che si è rotto o il tuo raffreddore, diceva mio padre, quando la sera pregava con me. Guarda quest’offerta, allora, guardala: offro la mia paura di morire, il mio appuntamento con la morte rimandato da mesi e che non posso annullare, li offro in cambio della sua venuta, papà, della venuta di Gregor. La paura entra tre volte al giorno, sempre senza bussare, si siede accanto a me, e se mi alzo mi segue, ormai mi fa quasi compagnia. Ci si abitua a tutto, a estrarre il carbone nei cunicoli delle miniere, dosando la necessità di ossigeno; a camminare spediti sulla trave di un cantiere sospesa nel cielo, affrontando la vertigine del vuoto. Ci si abitua alle sirene degli allarmi, a dormire.
Nausicaa Baldasso